lunedì 22 ottobre 2018

A PALERMO PRESSO L'HOTEL JOLI' SI PRESENTA IL VOLUME "ALLA RICERCA DEL BUON TEMPO PASSATO" A CURA DEL PROF. GIUSEPPE PAPPALARDO








Martedì 23 ottobre 2018 a Palermo presso la sala '900 dell'Hotel Jolì di via Michele Amari n. 11, la Prof.ssa Ida Rampolla del Tindaro  presenta il volume di proverbi dialettali raccolti dagli alunni dell'I.C.S. di Ragalna (CT) a cura del poeta Giuseppe Pappalardo
 
Ingreso libero.
 
(Nelle foto: la locandina dell'evento con illustrazione del pittore Edoardo Dispenza e la copertina del volume con un dipinto di Giuseppe Pappalardo.

venerdì 19 ottobre 2018

A PALERMO ALLA FONDAZIONE GIUSEPPE E MARZIO TRICOLI L'ACCADEMIA NAZIONALE DI LETTERE,ARTI E SCIENZE "RUGGERO II DI SICILIA" PRESENTA IL LIBRO DELLO SCRITTORE GIUSEPPE ALBA: "I LUOGHI DELLA SORGENTE DELLA BORGATA ACQUASANTA A PALERMO"









Sabato 20 ottobre 2018 alle ore 17.00 a Palermo presso il Salone della Fondazione "Giuseppe e Marzio Tricoli" in via Terrasanta n. 82, si svolgerà la presentazione del libro dello scrittore  Dott.Giuseppe Alba dal titolo "I luoghi della sorgente della borgata Acquasanta a Palermo"
 
Introduzione del critico letterario Prof.ssa Enrica Egidi.
 
Incontro  supportato dalla  proiezioni d'immagini ed organizzato dall'Accademia Nazionale di Lettere, Arti e Scienze "Ruggero II di Sicilia" Palermo presieduta dall'Ing. Giuseppe Livreri.
 
A chiusura dei lavori, seguirà Cocktail.
 
Ingresso libero.
 
(Nelle foto dall'alto: la copertina del volume, l'autore Dott.Giuseppe Alba e il Presidente dell'Accademia Ruggero II Ing. Giuseppe Livreri.) 

martedì 16 ottobre 2018

ALLA GALLERIA LETTERARIA DI TRAPANI RELAZIONE DI FEDERICO GUASTELLA AUTORE DEL VOLUME "IL MITO E IL VELO. Simboli e leggende"




Domenica 28 ottobre alle ore 17.15 a Trapani in via G. B. Fardella n. 195, nell'ambito della 2^ Rassegna "Galleria Letteraria" 2018 /19, si svolgerà l'incontro culturale "IL MITO E IL VELO. Simboli e leggende" notturno" con una relazione di Federico Guastella autore del volume.

L'evento è introdotto dal poeta e traduttore MARCO SCALABRINO curatore della rassegna con la collaborazione della pittrice ROSARIA LA ROSA Presidente dell'Associazione "L'Urlo di Rosaria", con il patrocinio dei Comuni di Trapani ed Erice.
 
Ingresso libero.

(Nella foto: la locandina dell'evento culturale)

domenica 14 ottobre 2018

A PALERMO ALLA FONDAZIONE MARZIO E GIUSEPPE TRICOLI SI PRESENTA IL VOLUME "FULGORI D'UNA PULSAR " DI ALDO GERBINO






 
 

 
Giovedì 18 ottobre 2018 alle ore 17.00 a Palermo in via Terrasanta n. 82, presso la Fondazione Marzio e Giuseppe Tricoli si presenterà il volume di ALDO GERBINO "FULGORI D'UNA PULSAR", tredici testi per tredici dipinti di ENZO TARDIA.
 
Interventi di Piero Longo, Tommaso Romano e Aldo Gerbino.
 
Modera  Vinny Scorsone .
 
Saranno esposte alcune opere del pittore  ENZO TARDIA.
 
Con la collaborazione di Thule Cultura, Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli e l'Associazione
Culturale Studio 71 galleria e biblioteca d'Arte.
 
Ingresso libero.
 
(Nelle foto: l'invito dell'evento culturale e l'autore Aldo Gerbino).
 

ARTICOLANDO ( 26 ) : RECENSIONE DEL PROF. GIOVANNI TERESI ALLA SILLOGE POETICA "L'AIRONE CELESTE" DEL POETA, SAGGISTA ED EDITORE TOMMASO ROMANO











Articolando

 


Articolando, è una nuova rubrica per dar voce a tutti gli amanti della poesia, dell'arte, della storia, della pittura, della critica letteraria attraverso recensioni, relazioni e articoli strettamente culturali.
Chiunque volesse pubblicare può farlo mandando i propri scritti all'indirizzo di posta elettronica
tonycausi@alice.it grazie!


In questo n. 26 ritroviamo il Prof. GIOVANNI TERESI latinista e storico con una sua recensione alla silloge poetica del poeta, saggista ed editore TOMMASO ROMANO dal titolo "L'AIRONE CELESTE", edizioni All'insegna dell'Ippogrifo,2018. Una proficua lettura a tutti voi!







Recensione di Giovanni Teresi all’Airone celeste

 

 

La lirica di Tommaso Romano è la poesia dell’esperienza in un universo simbolico nel quale prende dimora e di un rapporto di inferenza tra il piano emblematico e l’iconico: “Il sogno regale nel sogno/ si schianta nella terra arsa/ in realtà dove non scorre fiume/ e il mare s’è fatto ghiaccio./…/ la parola può consolare e salvare forse da carestie e sete non al Destino velato/.

La matrice messianica di “erchomenos” (il “veniente”) è messa in relazione al complesso concetto di “kairós” (istante a-temporale): “L’alba senza risveglio/ porterà raro volto alla luce/ …/ E. Allora/Vegliate alla notte/ per un verso soltanto/ in tempo d’Avvento.”

Il “Lógos” implica dunque che l’armonica compenetrazione tra mondo e linguaggio – pensiero (“adequatio intellectus rei”) è qualcosa che si dà sempre e soltanto a posteriori. “ Non bruciate le carte/ fu auspicio e grido/ non bruciate questo mosaico/ non smembratelo, non disperdetelo/ è amato come perfezione possibile/ s’accresce/ come graal d’anima mia …/”.

Con i ricordi, i sogni, le riflessioni, il Nostro torna spesso sulla esperienza onirica:

“Noi che parliamo natura/ senza viverla penetrarla/ nei boschi, nei mari/…/ Noi che diciamo sognare/ e ci misuriamo/ con le ore a scadenza/…/Noi essenza/ noi anima pura/ innocente compassione,/ di ciò che volemmo quale destino.”

Inoltre la conciliazione tra singolare e universale, che non può avvenire sul piano della ragione assoluta, in alcuni versi va ricercata in una “nuova mitologia”: “Lente fluiranno le ore/ tornando fedele a leggerti,/ o mare,/ piacere e tempesta/ dagli abissi si placheranno/ e tu, invocata sirena,/ diverrai compagna.” “ Trapasseranno millenni/ le consolidate fondamenta/ per sbriciolarsi implacabili/ ai colpi della dissoluzione/ di tracce che resistono/ e che ora fanno polvere, rovina/ al Prometeo senza lacci/ e catene/ libero ed ebbro/ di mutazioni solo apparenti …”

Credo, inoltre, che le dichiarazioni in alcune liriche del poeta Tommaso Romano siano più che altro formula apotropaica: “La carta fu l’incontro/ e alla carta ferita d’inchiostro/ si torna/ talismano/nell’eterno ritorno all’eguale,/ d’una notte occulta.” “Il sonno degli Dei/ la natura che batte i colpi/ ad una sventurata età./…/”

L’io esperiente del Nostro è ricorrente in molte sue poesie e segue una linea speculativa che si è formata attraverso i suoi studi di grandi autori come Schelling e Hölderlin, Nietzsche, come afferma lo stesso autore: “Mi nutro di libri, del loro dolore; compagni di viaggio, amanti da accarezzare in un incessante andare.” e

Questa presenzassenza/ immobilizza/ trascende ed esalta/ misticamente/…/ All’impersonale abdicare/ al desistere.”

Dinanzi alla crisi di valori ed idee della società moderna, Tommaso Romano, con la sua nuova silloge “L’airone celeste” offre al lettore il recupero della poesia ed il senso delle cose: “Non rimarrete immobili/ o care piccole, nobili cose/gioie d’un incontro/ d’un momento che dura/ finché vita …/ Troverete altre dimore,/ non esibitevi,/ non serve.” e di riappropriarsi della memoria, di avere un ruolo nella dimensione cosmica: “La poesia è/ una forma di ritratto/d’altri/ o un autoritratto/ che vogliamo consegnare/facendoci scudo/del nostro umanesimo/ errare/…/”.

Il valore della poetica ci immette in uno spazio retorico ove ogni gesto, ogni atto sono affidati alle loro essenze che vivono di significati lontanissimi, attivi e inesauribili. L’arte interpreta la vita, la fa parlare, chiede che mostri l’origine del suo accadere. Nella lettura ed analisi del testo lirico del Nostro mai si avverte il distacco della memoria, e si fa chiara la sua intenzione che ciò che cerca è quel “ po’ di luce vera” che si nota come immagine del tempo. Tempo poetico che è memoria. Il poeta crea con i suoi versi un ritmo del tempo, del suo emergere, delle sue accelerazioni e del suo sprofondare: “Il tempo pare si sia fermato, dicono/qui,/ il tempo vive come noi vogliamo/vivere il tempo/controvento se il caso è mare/ pari al lungo disfarsi …”

“Ben altro alla coscienza si deve/ ben altro narrare/nell’ambigua comprensibilità/ negli scarti percettivi./ Non smarrire lo sguardo/ annegando,/ di memoria/ di spirito del mondo./”

La lirica di Tommaso Romano è un atto di rinascita e di speranza:

“Lascia sulla carta/ciò che penso/senti/e percepisci,/ oltre/vedrai un mondo/nuovo e antico/musica celestiale/pura/oltre il suono/là/ti troverai/senza tempo./”, ed anche di rifiuto della morte: “Nel segmento del vuoto/altro e altrove/di parole inessenziali/c’è tutto il dover sfuggire./ Non si placa lo sdegno/al banale,/altro e altrove/è il sopravvivere.”

La sua poesia è pure il recupero della parola come evento spiazzante, come il volo senza requie degli uccelli migratori: “Fremiti d’increspature/luminose/sfiorano lo specchio d’acqua/…/rovesciata sull’erba ai bordi/ è la bianca barca/l’osservano i cigni e i gabbiani/bianche del luogo/assaporano l’ultima estate/che si è consumata aspettando nuovi soli e nuovi cieli …/”.

Arte e psicoanalisi s’incrociano là dove non esiste ancora la distinzione tra reale e fantastico, semmai pura energia dell’inconscio per creare e giungere a far risuonare la parola primigenia:

“La scrittura insegue così/e cerca l’intarsio/di ciò che ragione allontana/in apollinea forma misurata/ai passi lenti/nel labirinto incantato d’un giardino/…/ Ma cos’è un regalo bellissimo?/ Parole di un libro introvabile/ o le pagine bianche/di un almanacco/in scadenza,/…”

L’emozione linguistica è rappresentata come una carezza che si insinua impercettibilmente a svegliare il nucleo profondo dell’interiorità:

“Basta l’incontro/breve d’uno sguardo/per incidere verità/a tanti schiamazzi …/false opinioni/…/ Rivestire d’una lieve luce/l’attimo nell’opaco cammino,/a compimento.”

Così, seguendo è il senso linguistico della metamorfosi:

“Metamorfosi gentile/un abbandonato anfratto/fra reperti che sembrano/museali/ …/ Ritorna la vita/alla polvere/colma di umanità discreta/d’amore senza usure/vivono i luoghi/e danno senso/alle offese gratuite …”.

È nel tempo che le cose si dileguano, ritornano, si sottraggono, rinascono alla sua luce. L’occhio del poeta Tommaso Romano non può vedere che il tempo scorrere; se in questo tempo le cose appaiono, è per accendere la sua gloria:

“… educati al sapere aspettare/naufraghiamo convinti di resistere/agognando resurrezione ipotetica/in rinuncia pesante./ Come dare un senso/alla perseveranza del vuoto?/Arrovellandosi che qualcosa accada/nel solito teatro del tempo/affastellando parole e gesti/e cose superflue pensate allo scopo/ tutto passa lo stesso/nell’horror vacui dell’attesa/ e consunta abitudine./”

“Eppure,/nel limite del tempo/l’attesa che non si compie/riapre il canto sospeso/al Kairos senza fine/…”

Se è il tempo a dare tono e unità all’accadere del verso, il motivo dell’intermittenza, motivo per eccellenza proustiano, ne sarà la chiave.

L’esercizio di pensare è proprio di ogni arte che sia tale, e lo è anche nella poesia. Qui la parola poetica diventa sia un mezzo per stabilire un significato dell’immagine non direttamente concretizzabile, sia l’espressione della sua essenza.

“D’estate all’ombra del sole/medito e compongo/interseco/intarsio/disfaccio/dipingo nella stanza proibita/in spirito che si fa carne/riluttanza e beatitudine/momentanea/librata al silenzio ascetico/…/”

Ed è in questo silenzio ascetico del Nostro che accade l’arte poetica che si manifesta quando la parola ed il verso sono indistinguibili dalle emozioni e da quanto li circonda:

“Libero airone/migri per poco dal borgo Aquileia/alle falde dell’Etna/a lambire acqua/e sfiorare lava/con lievi gesti/senza presunzioni/in cosciente cerca/di perfetta armonia/d’una bellezza/in verità,/ che l’appartiene./Uno sguardo disteso/un lieve tremore/gentile,/a presto/airone celeste/meraviglia d’uno/stupore inatteso/a presto,/prima che l’incantesimo/si disperda fra le brume/nelle nebbie/della residua memoria.”

Ed è l’abilità poetica, quella di trasformare un grido dettato dallo sconforto in carezza lirica di speranza, che arricchisce la creazione lirica di Tommaso Romano.

“Liberare intelligenza/ creare spazio/all’evento che redime:/lucente solarità/avvolge la terra ancora bagnata di sangue/purissimo, innocente./…/ È possibile,/ ora,/rinascenza,/ oh anima?”

Ma ciò che più scuote l’autore è la verità della luce: “Una luce/fioca e con lieve tepore/si manifesta semplice e improvvisa/avvolge l’incontro/a contemplare silenzio/consonanza nel celeste cosmo/l’Infinito indicibile/dà perfetta Bellezza / splendore in Verità …” “Contempliamo la luce fugace/fra due abissi/da cui veniamo e a cui andremo/invocando in futuro già passato/curiamo a volte l’ansia/consumiamo gelo e bruciamo fuoco/aspettando l’assenza/in un monologo stanco./”

Riguardo la poiesis  e i Poietai mi piace ricordare alcune citazioni di Platone:

“la creazione (poiesis) è qualcosa di molteplice. La causa per cui ogni cosa passa dal non essere all’essere è sempre una creazione, e che da essa una parte distinta, quella che riguarda la musica e i versi, è designata con il nome dell’intero. Solo questa è poesia e coloro che posseggono questa speciale parte della creazione sono detti poeti (poietai)” (Platone e il polemico confine tra poesia e filosofia p. 513).

Inoltre: “I poeti ci dicono che raccogliendo i canti da sorgenti che sgorgano miele da certi giardini e convalli delle Muse li portano a noi come le api, anche loro così volando; e dicono la verità” (Platone – La poesia come ispirazione divina – Ione, 534 a 534 d.).

Solo la poesia utile all’educazione, la poesia il cui contenuto corrisponde alla virtù e ai valori della verità, può risultare edificante come la raccolta poetica “L’airone celeste” utile alla vita pubblica ed umana nella quale l’autore è riuscito a ridurre la distanza antologica tra immagine ed idea:

“Ciò che resta/ va vissuto senza dilapidare/ bruciando/ al lume del mattino/ ancora senz’alba/ la notte che si consuma veloce/ l’insonne attesa/  il filo da riannodare/ ai sogni che cercano parole/ nel tempo di Eraclito/ rapido, liquido, impalpabile./

L’essenziale,/ senza girovolte e orpelli.”

“Vegliare le serene notti, vuol dire entrare in comunione con la natura, contemplare la bellezza universale, osservare incuriositi il mondo in cui viviamo, studiare ed immaginare, cercando, sempre con infinita umiltà, di imparare da ciò che ci circonda qualcosa che possa stimolare la nostra mente, arricchire la nostra anima, impreziosire la nostra stessa esistenza.”  (dal II volume “Luce del Pensiero” – Tommaso. Romano)

 
Giovanni Teresi
 
(Nelle foto : dall'alto il Prof. GIOVANNI TERESI , il poeta, saggista ed editore TOMMASO ROMANO autore della silloge poetica "L'airone celeste").



 

domenica 7 ottobre 2018

ARTICOLANDO ( 25 ) : ARTICOLO DELLA PROF.SSA GABRIELLA MAGGIO AL FILM "UNA STORIA SENZA NOME" DEL REGISTA ROBERTO ANDO'









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In questo n. 25 la  Prof.ssa e poetessa GABRIELLA MAGGIO ci offre un articolo dedicato all'ultimo film del regista palermitano ROBERTO ANDO' dal titolo "UNA STORIA SENZA NOME" uscito recentemente nelle sale italiane.







Buona lettura a tutti voi!








UNA STORIA SENZA NOME

(Gabriella Maggio)

Una storia senza nome, presentato quest’anno  fuori concorso a Venezia, è il  sesto film di Roberto Andò, regista-scrittore palermitano, in proiezione in questi giorni nei cinema di Palermo. La trama affronta un evento reale, il furto della Natività  di Caravaggio dall'Oratorio di San Lorenzo a Palermo nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969. La tela non è stata mai ritrovata, ma intorno a lei sono state costruite varie storie  che  conducono  alla mafia, autrice del furto. L’azione criminale  diventa il tema di una sceneggiatura cinematografica che Valeria/ Micaela Ramazzotti  scrive per lo sceneggiatore a corto di idee Pes /Gassmann. L’idea le è stata fornita in maniera apparentemente casuale dal misterioso Rak/ Carpentieri , che presto si rivela l’animatore  della storia.  La  trama si arricchisce coinvolgendo il mondo stesso  del cinema, rappresentato nell’atto di trasformare un buon soggetto in film. Perciò sono riportati i retroscena della produzione, la ricerca dei capitali, la regia, le riprese  fino alla Prémiére che conclude la storia. Il film è  nel suo complesso una affettuosa celebrazione del cinema in tutti i suoi aspetti comici e seri,  con diversi cammei e remake- flash, fino al film nel film  girato  dal regista- attore Jerzy Skolimowski. Non mancano nella trama  le peripezie tipiche del “giallo”, perché la mafia vuole impedire la realizzazione del film. L’intreccio dei vari temi  avvicina Andò ad Hitchcock,  di cui  condivide  il senso della complessità e insondabilità dell’esistenza.  Una storia senza nome richiede più che uno spettatore coinvolto un attento osservatore con una buona conoscenza del cinema nazionale ed internazionale. Alla narrazione filmica dà spessore la potenza comunicativa della colonna sonora composta da Marco Betta*.  Il film ripropone il sodalizio  tra Roberto Andò e Marco Betta che  annovera già  diverse prove artistiche di rilievo  quali Viva la libertà, per cui il compositore ha ottenuto la nomination  come migliore colonna sonora,  Il quadro nero, Sette storie per lasciare il mondo, Il manoscritto del Principe. In Una storia senza nome  la musica di Marco Betta sottolinea le scene del film  e le completa,  le arricchisce  del  punto di vista del compositore, che si pone come co-creatore del  film, conferendo sfumature e prospettive che le parole e le immagini non esprimono non per un difetto d’uso, ma per la natura  stessa della  loro specificità comunicativa. Il film si avvale anche della bella  fotografia di Maurizio Calvesi.


*Socio del L.C. Palermo dei Vespri
(Nelle foto: dall'alto la critica letteraria e poetessa Gabriella Maggio , il regista Roberto Andò e gli attori Micaela Ramazzotti e Alessandro Gassman -foto @ComingSoon.it- )


 

martedì 2 ottobre 2018

ARTICOLANDO ( 24 ) : ARTICOLO DEL PROF. GIOVANNI TERESI "L'ETERNA QUESTIONE SICILIANA" da Racconti di altri tempi







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In questo n. 24 incontriamo il Prof. GIOVANNI TERESI latinista e storico con un articolo dal titolo: "L'eterna questione siciliana" da Racconti di altri tempi . Una lieta lettura a tutti voi!


 


"L'eterna questione siciliana" da Racconti di altri tempi



Dopo la seconda guerra mondiale, la voglia di riprendere la vita ed iniziare tutte le attività lavorative era tanta, come era forte il desiderio di libertà agognata e sofferta, solo che doveva essere ben disciplinato ed organizzato dalle istituzioni pubbliche. Il 15 maggio 1946 veniva approvato lo Statuto della Regione Siciliana.
 
Da quel momento ha inizio l’esperienza autonomistica che ha influenzato la successiva elaborazione della Costituzione Italiana, entrata in vigore il primo gennaio del 1948. Come sappiamo, prima di quella data lo Stato italiano, in tutta la sua storia e nei diversi regimi politici che si sono succeduti (il liberale prima e il fascista poi), sì era caratterizzato come Stato accentrato. I poteri legislativi erano concentrati nel Parlamento nazionale ed i poteri amministrativi erano attribuiti al Governo ed ai ministri da esso dipendenti.
 
Lo Statuto siciliano segnò quindi una svolta nella storia istituzionale italiana.
 
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, nell’Italia invischiata in una fase di instabilità politica eppure lanciata sulla strada del «miracolo economico», la “questione siciliana”  conquistò via via il centro della scena. Grazie alla scoperta del petrolio infatti l’isola divenne un laboratorio per le politiche industriali e terreno avanzato di scontro sulle vie dello sviluppo meridionale.
 
In una regione contesa tra il miraggio della crescita industriale e un presente ancora vittima della povertà e di un nuovo esodo emigratorio, emergevano forti tensioni nel rapporto tra il centro (o meglio i centri) e una periferia speciale, dotata di ampia autonomia istituzionale e marcata identità territoriale.
 
Attriti e convergenze che sfociarono nell’ottobre 1958 in un originale caso politico, definito “milazzismo”. L’esperimento dei governi guidati da Silvio Milazzo, un agrario calatino allievo di don Sturzo, era caratterizzato da un’anomala convergenza tra destra e sinistra che spaccò la DC, relegandola all’opposizione, e diede corpo ad un blocco regional-sicilianista, che affermava di voler difendere gli interessi dell’isola dalle ingerenze delle segreterie centrali dei partiti e dei monopoli economici settentrionali.
 
Il “milazzismo” rappresentò – seppur con le sue contraddizioni e i suoi limiti – il tentativo di tracciare una via di sviluppo regionale, legata alle risorse dell’autonomia speciale, e fu la risposta politica periferica ad una stagione di grande cambiamento che investì tutto il Paese, ma lasciò irrisolti alcuni nodi della storica questione meridionale.  L’autonomia nasceva quindi all’insegna del conservatorismo e del protezionismo di sempre, con il rifiuto del “vento del nord”, un vento che per Scelba si tingeva di rosso, del pericolo comunista, per il quale bisognava dimenticare i trascorsi fascisti di intellettuali e funzionari, creare anche con essi una aggregazione forte attorno alla DC.  In taluni Siciliani l’attaccamento a quella che potremmo definire un’isola dalla paurosa bellezza, sembra farsi quasi carnalità forte e misteriosa, passione d’amore e di rovina, come per una donna dal fascino che si vuole con forza domare, possedere per sé.
 
Ma da ben altri interessi erano mossi i fautori del separatismo, interessi spesso personalistici o di classe, non esclusa quella illegale che trovò terreno molto fertile. Ma fino a che punto poi le altre classi volevano essere legali? Tutti comunque si celavano dietro la bandiera dell’indipendenza della Sicilia.
 
Il separatismo, che sembrava in Sicilia essere frutto di un Dna nel quale si confondevano grecità, mollezze e genialità araba, pragmatismo normanno-svevo e rudezza sicula, divenne un fenomeno allargato.
 
I Siciliani, amministratori generalmente poco interessati a salvaguardare lo splendore della loro terra e il particolare patrimonio di civiltà, erano simili a coloro che essi chiamavano “quelli del continente”, altrettanto incuranti della propria terra, depauperata da amministrazioni di ogni colore, da connivenze col potere economico corrotto, non salvaguardata nella bellezza, nella eredità di tesori d’arte ovunque presenti. L’aspro scontro tra DC e PCI intorno alla “questione siciliana”, che toccò l’apice nel corso della campagna per le elezioni regionali del giugno 1959 era palesemente evidente dai vari comizi che si tenevano nelle varie piazze  e dal materiale di propaganda prodotto dai due maggiori contendenti.
 
Ai tempi dei comizi erano veramente pochi i cittadini che capivano i messaggi politici. Il linguaggio troppo istituzionale non arrivava ai cittadini. Vigeva il costume di votare in base all’appartenenza a gruppi definiti. Il borghese lombardo e il contadino siciliano votavano cosi la DC in nome delle loro frequentazioni cattoliche, mentre l’operaio romagnolo, che frequentava circoli marxisti, non poteva che votare il PCI.
 
Con l’avvento della televisione negli anni ’60, il linguaggio politico cambiò radicalmente. Si appiattì sempre di più al linguaggio colloquiale del pubblico e permise l’allontanamento incondizionato dalle fedeltà politiche. Il pubblico diventò attivo e inferiva sui discorsi. I leader si concentravano su come raggiungere il bacino di utenza più ampio; quali “trucchetti” utilizzare per affascinare il pubblico. L’ideologia venne meno e passò in secondo piano.
Al centro dell’attenzione c’era il “come” si comunica non più il “cosa”.
 
Giovanni Teresi

lunedì 1 ottobre 2018

A PALERMO PRESSO LA "FONDAZIONE GIUSEPPE E MARZIO TRICOLI" TERZO INCONTRO CON LA POESIA DI CALOGERO CANGELOSI








Sabato 6 Ottobre 2018 alle ore 16,30 a Palermo presso la  "Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli” Via Terrasanta n. 82
 “TERZO INCONTRO CON LA POESIA DI CALOGERO CANGELOSI”
Gli amici presenti saranno accolti dal saluto del Dott. Marcello Tricoli Consigliere Segretario della fondazione “Giuseppe e Marzio Tricoli”
Relazionerà sul libro ” Ai colori della vita” la poetessa e critico letterario
Prof. ssa Maria Elena Mignosi Picone
 
Presenterà la Prof/ssa Alba Pagano
Poesie lette da:
 
Nino Balletti
Adalpina Fabra Bignardelli
Margherita Buscemi
Clotilde Cardella
Calogero Catania
Antonino Causi
Gaspare Emma
Silvia Maria Emma
Sandra Guddo
Cinzia Romano La Duca
Antonio Licata
Francesca Luzzio
Giovanni Matta
Giuseppe Pappalardo
Maria Elena Mignosi Picone
Rosa Mingoia
Alba Pagano
 
Teresa Riccobono
Maria Sapienza
Giovanna Sciacchitano
Anna Schillaci
Pietra Suppa
 
Esporranno i pittori:
 
Anna Maria Asaro
 
Totó Caló


Cinzia Romano La Duca
Maria Luisa Lippa
Giusy Megna
Rosa Mingoia
Anna Schillaci
Grazia Zito
 
 

Musicisti
Calogero Catania
Cinzia Romano La Duca
Dora Saporita
e Silvia  Maria Emma
 
Ingresso libero
 
(Nella foto la copertina del libro AI COLORI DELLA VITA e l'autore Calogero Cangelosi).

A PALERMO ALL'ISTITUTO GONZAGA SI PRESENTA IL LIBRO DI GIUSEPPE SAVAGNONE "CERCATORI DI SENSO"







Martedi 2 ottobre 2018 ore 17.45-19.30 nell'aula magna dell'Istituto Gonzaga, via Piersanti Mattarella 38-42, Palermo, verrà presentato il  libro di Giuseppe Savagnone "Cercatori di senso".
 
I giovani e la fede in un percorso di libertà. Si tratta di una proposta che, alla vigilia del Sinodo dei giovani, mira al rinnovamento radicale dello stile di evangelizzazione del mondo giovanile.
 
Ne parleranno il prof. Antonio Bellingreri, docente di pedagogia all'Università di Palermo, e don Antonio Zito, direttore dell'Ufficio di insegnamento della religione cattolica nella nostra diocesi.
 
Modererà il dibattito la giornalista Alessandra Turrisi.
 
Sarà presente l'Autore.
 
Ingresso libero.
 
(Nelle foto: la copertina del libro e l'autore Giuseppe Savagnone).