Articolando
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In questo n. 26 ritroviamo il Prof. GIOVANNI TERESI latinista e storico con una sua recensione alla silloge poetica del poeta, saggista ed editore TOMMASO ROMANO dal titolo "L'AIRONE CELESTE", edizioni All'insegna dell'Ippogrifo,2018. Una proficua lettura a tutti voi!
Recensione di
Giovanni Teresi all’Airone celeste
La
lirica di Tommaso Romano è la poesia dell’esperienza in un universo simbolico
nel quale prende dimora e di un rapporto di inferenza tra il piano emblematico
e l’iconico: “Il sogno regale nel sogno/
si schianta nella terra arsa/ in realtà dove non scorre fiume/ e il mare s’è
fatto ghiaccio./…/ la parola può consolare e salvare forse da carestie e sete
non al Destino velato/.
La
matrice messianica di “erchomenos” (il “veniente”) è messa in relazione al complesso
concetto di “kairós” (istante a-temporale): “L’alba senza risveglio/ porterà raro volto alla luce/ …/ E.
Allora/Vegliate alla notte/ per un verso soltanto/ in tempo d’Avvento.”
Il
“Lógos” implica dunque che l’armonica compenetrazione tra mondo e linguaggio –
pensiero (“adequatio intellectus rei”) è qualcosa che si dà sempre e soltanto a
posteriori. “ Non bruciate le carte/ fu
auspicio e grido/ non bruciate questo mosaico/ non smembratelo, non
disperdetelo/ è amato come perfezione possibile/ s’accresce/ come graal d’anima
mia …/”.
Con
i ricordi, i sogni, le riflessioni, il Nostro torna spesso sulla esperienza
onirica:
“Noi che
parliamo natura/ senza viverla penetrarla/ nei boschi, nei mari/…/ Noi che
diciamo sognare/ e ci misuriamo/ con le ore a scadenza/…/Noi essenza/ noi anima
pura/ innocente compassione,/ di ciò che volemmo quale destino.”
Inoltre
la conciliazione tra singolare e universale, che non può avvenire sul piano
della ragione assoluta, in alcuni versi va ricercata in una “nuova mitologia”: “Lente fluiranno le ore/ tornando fedele a
leggerti,/ o mare,/ piacere e tempesta/ dagli abissi si placheranno/ e tu,
invocata sirena,/ diverrai compagna.” “ Trapasseranno millenni/ le consolidate
fondamenta/ per sbriciolarsi implacabili/ ai colpi della dissoluzione/ di
tracce che resistono/ e che ora fanno polvere, rovina/ al Prometeo senza lacci/
e catene/ libero ed ebbro/ di mutazioni solo apparenti …”
Credo,
inoltre, che le dichiarazioni in alcune liriche del poeta Tommaso Romano siano
più che altro formula apotropaica: “La
carta fu l’incontro/ e alla carta ferita d’inchiostro/ si torna/
talismano/nell’eterno ritorno all’eguale,/ d’una notte occulta.” “Il sonno
degli Dei/ la natura che batte i colpi/ ad una sventurata età./…/”
L’io
esperiente del Nostro è ricorrente in molte sue poesie e segue una linea
speculativa che si è formata attraverso i suoi studi di grandi autori come
Schelling e Hölderlin, Nietzsche, come afferma lo stesso autore: “Mi nutro di libri, del loro dolore; compagni
di viaggio, amanti da accarezzare in un incessante andare.” e
“Questa presenzassenza/ immobilizza/
trascende ed esalta/ misticamente/…/ All’impersonale abdicare/ al desistere.”
Dinanzi
alla crisi di valori ed idee della società moderna, Tommaso Romano, con la sua
nuova silloge “L’airone celeste” offre al lettore il recupero della poesia ed
il senso delle cose: “Non rimarrete
immobili/ o care piccole, nobili cose/gioie d’un incontro/ d’un momento che
dura/ finché vita …/ Troverete altre dimore,/ non esibitevi,/ non serve.” e
di riappropriarsi della memoria, di avere un ruolo nella dimensione cosmica: “La poesia è/ una forma di ritratto/d’altri/
o un autoritratto/ che vogliamo consegnare/facendoci scudo/del nostro
umanesimo/ errare/…/”.
Il
valore della poetica ci immette in uno spazio retorico ove ogni gesto, ogni
atto sono affidati alle loro essenze che vivono di significati lontanissimi,
attivi e inesauribili. L’arte interpreta la vita, la fa parlare, chiede che
mostri l’origine del suo accadere. Nella lettura ed analisi del testo lirico
del Nostro mai si avverte il distacco della memoria, e si fa chiara la sua intenzione
che ciò che cerca è quel “ po’ di luce
vera” che si nota come immagine del tempo. Tempo poetico che è memoria. Il
poeta crea con i suoi versi un ritmo del tempo, del suo emergere, delle sue
accelerazioni e del suo sprofondare: “Il
tempo pare si sia fermato, dicono/qui,/ il tempo vive come noi vogliamo/vivere
il tempo/controvento se il caso è mare/ pari al lungo disfarsi …”
“Ben altro alla
coscienza si deve/ ben altro narrare/nell’ambigua comprensibilità/ negli scarti
percettivi./ Non smarrire lo sguardo/ annegando,/ di memoria/ di spirito del
mondo./”
La
lirica di Tommaso Romano è un atto di rinascita e di speranza:
“Lascia sulla
carta/ciò che penso/senti/e percepisci,/ oltre/vedrai un mondo/nuovo e
antico/musica celestiale/pura/oltre il suono/là/ti troverai/senza tempo./”, ed anche di
rifiuto della morte: “Nel segmento del
vuoto/altro e altrove/di parole inessenziali/c’è tutto il dover sfuggire./ Non
si placa lo sdegno/al banale,/altro e altrove/è il sopravvivere.”
La
sua poesia è pure il recupero della parola come evento spiazzante, come il volo
senza requie degli uccelli migratori:
“Fremiti d’increspature/luminose/sfiorano lo specchio d’acqua/…/rovesciata
sull’erba ai bordi/ è la bianca barca/l’osservano i cigni e i gabbiani/bianche
del luogo/assaporano l’ultima estate/che si è consumata aspettando nuovi soli e
nuovi cieli …/”.
Arte
e psicoanalisi s’incrociano là dove non esiste ancora la distinzione tra reale
e fantastico, semmai pura energia dell’inconscio per creare e giungere a far
risuonare la parola primigenia:
“La scrittura
insegue così/e cerca l’intarsio/di ciò che ragione allontana/in apollinea forma
misurata/ai passi lenti/nel labirinto incantato d’un giardino/…/ Ma cos’è un
regalo bellissimo?/ Parole di un libro introvabile/ o le pagine bianche/di un
almanacco/in scadenza,/…”
L’emozione
linguistica è rappresentata come una carezza che si insinua impercettibilmente
a svegliare il nucleo profondo dell’interiorità:
“Basta
l’incontro/breve d’uno sguardo/per incidere verità/a tanti schiamazzi …/false
opinioni/…/ Rivestire d’una lieve luce/l’attimo nell’opaco cammino,/a
compimento.”
Così,
seguendo è il senso linguistico della metamorfosi:
“Metamorfosi
gentile/un abbandonato anfratto/fra reperti che sembrano/museali/ …/ Ritorna la
vita/alla polvere/colma di umanità discreta/d’amore senza usure/vivono i
luoghi/e danno senso/alle offese gratuite …”.
È
nel tempo che le cose si dileguano, ritornano, si sottraggono, rinascono alla
sua luce. L’occhio del poeta Tommaso Romano non può vedere che il tempo
scorrere; se in questo tempo le cose appaiono, è per accendere la sua gloria:
“… educati al
sapere aspettare/naufraghiamo convinti di resistere/agognando resurrezione
ipotetica/in rinuncia pesante./ Come dare un senso/alla perseveranza del
vuoto?/Arrovellandosi che qualcosa accada/nel solito teatro del
tempo/affastellando parole e gesti/e cose superflue pensate allo scopo/ tutto
passa lo stesso/nell’horror vacui dell’attesa/ e consunta abitudine./”
“Eppure,/nel
limite del tempo/l’attesa che non si compie/riapre il canto sospeso/al Kairos
senza fine/…”
Se
è il tempo a dare tono e unità all’accadere del verso, il motivo
dell’intermittenza, motivo per eccellenza proustiano, ne sarà la chiave.
L’esercizio
di pensare è proprio di ogni arte che sia tale, e lo è anche nella poesia. Qui
la parola poetica diventa sia un mezzo per stabilire un significato
dell’immagine non direttamente concretizzabile, sia l’espressione della sua
essenza.
“D’estate
all’ombra del sole/medito e compongo/interseco/intarsio/disfaccio/dipingo nella
stanza proibita/in spirito che si fa carne/riluttanza e
beatitudine/momentanea/librata al silenzio ascetico/…/”
Ed
è in questo silenzio ascetico del Nostro che accade l’arte poetica che si
manifesta quando la parola ed il verso sono indistinguibili dalle emozioni e da
quanto li circonda:
“Libero
airone/migri per poco dal borgo Aquileia/alle falde dell’Etna/a lambire acqua/e
sfiorare lava/con lievi gesti/senza presunzioni/in cosciente cerca/di perfetta
armonia/d’una bellezza/in verità,/ che l’appartiene./Uno sguardo disteso/un
lieve tremore/gentile,/a presto/airone celeste/meraviglia d’uno/stupore
inatteso/a presto,/prima che l’incantesimo/si disperda fra le brume/nelle
nebbie/della residua memoria.”
Ed
è l’abilità poetica, quella di trasformare un grido dettato dallo sconforto in
carezza lirica di speranza, che arricchisce la creazione lirica di Tommaso
Romano.
“Liberare
intelligenza/ creare spazio/all’evento che redime:/lucente solarità/avvolge la
terra ancora bagnata di sangue/purissimo, innocente./…/ È possibile,/
ora,/rinascenza,/ oh anima?”
Ma
ciò che più scuote l’autore è la verità della luce: “Una luce/fioca e con lieve tepore/si manifesta semplice e
improvvisa/avvolge l’incontro/a contemplare silenzio/consonanza nel celeste
cosmo/l’Infinito indicibile/dà perfetta Bellezza / splendore in Verità …” “Contempliamo la luce fugace/fra due abissi/da
cui veniamo e a cui andremo/invocando in futuro già passato/curiamo a volte
l’ansia/consumiamo gelo e bruciamo fuoco/aspettando l’assenza/in un monologo
stanco./”
Riguardo
la poiesis e i Poietai
mi piace ricordare alcune citazioni di Platone:
“la creazione
(poiesis) è qualcosa di molteplice. La causa per cui ogni cosa passa dal non
essere all’essere è sempre una creazione, e che da essa una parte distinta,
quella che riguarda la musica e i versi, è designata con il nome dell’intero.
Solo questa è poesia e coloro che posseggono questa speciale parte della
creazione sono detti poeti (poietai)” (Platone e il polemico confine tra
poesia e filosofia p. 513).
Inoltre:
“I poeti ci dicono che raccogliendo i
canti da sorgenti che sgorgano miele da certi giardini e convalli delle Muse li
portano a noi come le api, anche loro così volando; e dicono la verità”
(Platone – La poesia come ispirazione divina – Ione, 534 a 534 d.).
Solo
la poesia utile all’educazione, la poesia il cui contenuto corrisponde alla
virtù e ai valori della verità, può risultare edificante come la raccolta
poetica “L’airone celeste” utile alla vita pubblica ed umana nella quale
l’autore è riuscito a ridurre la distanza antologica tra immagine ed idea:
“Ciò che resta/
va vissuto senza dilapidare/ bruciando/ al lume del mattino/ ancora senz’alba/
la notte che si consuma veloce/ l’insonne attesa/ il filo da riannodare/ ai sogni che cercano
parole/ nel tempo di Eraclito/ rapido, liquido, impalpabile./
L’essenziale,/
senza girovolte e orpelli.”
“Vegliare le
serene notti, vuol dire entrare in comunione con la natura, contemplare la
bellezza universale, osservare incuriositi il mondo in cui viviamo, studiare ed
immaginare, cercando, sempre con infinita umiltà, di imparare da ciò che ci
circonda qualcosa che possa stimolare la nostra mente, arricchire la nostra
anima, impreziosire la nostra stessa esistenza.” (dal II volume “Luce del Pensiero” – Tommaso.
Romano)
Giovanni Teresi
(Nelle foto : dall'alto il Prof. GIOVANNI TERESI , il poeta, saggista ed editore TOMMASO ROMANO autore della silloge poetica "L'airone celeste").
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