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In questo n. 50 la Prof.ssa Dorotea Matranga (critica letteraria e poetessa) recensisce la silloge poetica "La trilogia del tempo"del poeta Antonino Causi edizioni il Convivio 2024.
Una lieta lettura a tutti voi!
Recensione alla silloge poetica: “LA TRILOGIA DEL TEMPO"
di Antonino Causi
Edizioni il Convivio 2024
Al lettore che fruisce
dell’opera di Antonino Causi, autore del volume che intitola “La trilogia
del tempo” vengono, da subito,
offerti alla visione due diversi linguaggi dell’arte, il primo impatto
visivo è presente nell’immagine della copertina che è sempre l’anticamera
dell’opera, la vetrina, sintesi sempre indicativa del messaggio poetico, il
secondo impatto sintattico nella scelta dei termini poetici, rigorosamente
ricercati nello svelamento dell’Io lirico, dei suoi valori connotativi e porta
lentamente e più ampiamente alla conoscenza sia del linguaggio introspettivo
cosciente, sia alla scoperta dell’inconscio individuale-soggettivo per una
lettura completa di tutta l’intera silloge che nel messaggio particolare di
ogni lirica si offre al conviviale ascolto. Ecco che nell’interpretazione
puntuale e precisa di ogni singolo aspetto, i sensi, tutti quanti coinvolti
illuminano sull’intento dell’autore, alla scoperta della bellezza contenuta nel
dispiegamento del respiro poetico nei versi. Linguaggio visivo impera nel
dipinto di copertina di Franco Clary e della sua opera pittorica “custodi
del tempo”, e linguaggio verbale nell’architettura della parola scritta. Il
campo semantico è dove autore e destinatario si incontrano nel campo artistico
con l’intento, in senso ascendente, che dalla parola, soffio dell’anima,
attraverso la bellezza della creatività si inoltra in un campo metafisico,
parte dal cuore e dall’anima del poeta e si fa soffio vitale che accarezza non
solo i sensi ma sublima verso la suprema bellezza e il Sommo Bene. Ci stupisce
l’abilità e la destrezza dell’autore nel sapere conferire alle sue composizioni
poetiche una veste architettonica che concatena tutti i messaggi in genere
delle sue opere, che convergono in un unico polo, centro assoluto di un cerchio
che mette a fuoco il mondo, lo abbraccia col suo pensiero e lo proietta verso
una vera meta, scopo dell’opera al di là del senso immediato verso orizzonti di
pace e serenità, non solo qui et nunc, ma anche verso l’altrove di fede e
speranza. Il dipinto di Franco Clary, i “custodi
del tempo” è un’opera che invita a una riflessione profonda e nel contempo
incuriosisce. Alcuni giovani in una notte estiva di luna piena si uniscono per
un girotondo, tenendosi la mano, quasi danzando giocosamente intorno a un
albero secolare. Che sia una serata estiva lo si evince dagli abiti leggeri,
dal campo fiorito e dalla giocosità e gioiosità che trasmette l’immagine. Ma
sotto il velo di leggerezza della dolce serata estiva c’è un senso profondo del
tempo che l’autore del dipinto vuole trasmettere.
Un tempo-non tempo
circolare, infinito ed eterno. Un tempo che scorre come nel pensiero di
Eraclito, “panta rei”, “non si può entrare due volte nello stesso fiume
perché l’acqua che ti ha bagnato la prima volta è andata via seguendo la
corrente”. Ma è anche un gioco di
luci e ombre che danno profondità e movimento, gli stessi capisaldi della
poesia dell’autore dove non è presente la staticità. L’albero secolare è la
tradizione che rappresenta il passato, ciò che c’è stato trasmesso come valori
e come storia. Noi siamo figli del passato. La pace, rappresentata dall’albero
d’ulivo, è il legame con la tradizione, vuole essere un monito per le nuove
generazioni che devono essere educate ai valori del “mos maiorum” in cui tanto
credevano gli antichi romani, valori di onestà, coraggio, le imprese dei grandi
di cui si è fatto portatore Foscolo nei “Sepolcri” dove i cipressi, pur nell’assenza del “nulla eterno”, custodiscono le tombe degli uomini celebri perché
facciano da esempio nel loro cammino. E anche qui ritroviamo gli elementi già
citati, albero, radici, giovani, natura e bellezza. Il tempo circolare, nella
perfezione della figura piana del cerchio, è un tempo che dal principio primo torna
alla fine del cammino al punto di partenza, nell’alternanza degli ossimori “notte/giorno” e “passato-presente-futuro” senza inizio né fine. Ma come Foscolo poi
supera il <nulla eterno> con la poesia eternatrice, perché quando le
tombe nei secoli saranno distrutte, sarà la poesia la custode del tempo. Quindi
sorge spontaneo il parallelismo tra il dipinto in copertina “I custodi del tempo” di Clary e la
poesia che Antonino Causi vuole affidare al tempo per eternare il suo messaggio
e farlo echeggiare armonicamente nell’infinito. Dopo la copertina, a seguire,
il volume è introdotto da un breve messaggio di Sant’Agostino “il tempo non
esiste”, passato, il presente e futuro non
esistono, il presente è solo un istante inesistente che separa il passato e
il futuro. Il volume di Causi
potrebbe a prima vista sembrare di facile interpretazione per il linguaggio
sobrio, per i versi lineari dal messaggio immediato, ma è proprio qui il suo
segreto. Per il lettore che approfondisce e penetra nell’architettura
dell’intera silloge, la tripartizione dei campi semantici, nel messaggio che
mostra un itinerario caparbio di intenti, nella sua voglia di imprimere ai
termini, alle parole, alla struttura delle composizioni si presenta un compito
arduo. Prima di spiegare e dispiegare come il tempo-non tempo scorre veloce pur
nella sua inconsistenza ed evanescenza, e ci spinge nelle azioni quotidiane a
dare enfasi ai finti valori del consumismo e materialismo, trovare spazio per
obiettivi farlocchi, alla ricerca smaniosa di ampollose ridondanze, vuote di
sostanza in cerca di elevazione verso mete e vuoti a perdere, dobbiamo
evidenziare come l’umanità ha perso di vista il senso del tutto, e certamente è
questo il punto che l’amico poeta ambisce a far diventare il fulcro della sua
indagine poetica.
Un
lavoro preciso di ricerca della malattia sociale, per la quale l’autore trova
la cura autentica nel fermare il tempo, lì dove vale la pena di sostare per
gustare ogni momento d’amore, per essere sorpresi, per meravigliarsi ancora,
per vivere la vita che vale la pena di essere vissuta. La poesia di Antonino
Causi è, senza dubbio, lirica di impianto civile che canta il dolore che
trasuda dall’umanità. Egli è la voce della coscienza, la voce tonante che
ribalta la visione materialistica, dove il materialismo settecentesco dei lumi
della ragione ha spento il sentimento, le emozioni il canto eroico dei padri.
Una ragione non illuminante ma cieca alla spiritualità, riparatrice che nelle
carezze della solidarietà trova la dimensione umana. L’apertura verso gli altri
(come nel dipinto di Clary). Un darsi la mano per salvare il mondo. Ricordiamo
che nell’opera del filosofo Hobbes “lo
stato di natura” si parla di una società nata per il
bisogno dell’uomo di non essere sopraffatto dagli altri uomini, per aiutarsi a
vicenda nella sopravvivenza reciproca e trovare la strada per vivere felici. Con
il tema della solidarietà l’autore inizia la prima delle tre parti dell’opera
con la lirica intitolata: “Cosa rimane di questa vita?” Quella dedicata
al passato. L’autore si chiede: “Se non c’è amore tra i popoli cosa
rimane? l’anima ferita accoglierà solo
lacrime. Il tema affrontato è la
guerra. La grande novità del nostro tempo contemporaneo è l’applicazione
dell’intelligenza artificiale in tutti i campi della conoscenza e del sapere.
Ebbene, consentitemi di affermare a riguardo che certamente l’uso di tale
innovazione ci proietterà verso confini sconosciuti, ma mentre l’intelligenza
artificiale sta già implementando la sua attività neuronale con la sistematica
acquisizione di milioni di dati, per una gigantesca memoria virtuale,
l’intelligenza umana che di essa si serve, andrà sempre più a diventare deserto,
fino al suo totale spegnimento. Certamente la scoperta dell’intelligenza
artificiale è la più grande nella storia delle rivoluzioni da quella
copernicana, alla rivoluzione francese, alla rivoluzione industriale, fino
all’odierna rivoluzione digitale del nuovo mondo virtuale, che al momento
attinge dati su dati che l’uomo le fornisce. Questo sistema tecnologico a prima
vista così utile, che apre infinite possibilità di ricerca, manca però
dell’elemento principe che rende l’essere vivente umano: ovvero i sentimenti e
le emozioni. Sentimenti, emozioni sono espressioni dell’anima che rendono la
vita degna di essere vissuta, conferiscono a ogni aspetto del quotidiano il
carezzevole tocco di amore, attenzioni, che a parole è difficile esprimere ma
che il nostro poeta sa imprimere nei suoi versi. Ogni lirica, se da un lato
affonda con le parole nella malattia sociale di cui soffre l’uomo, ovvero
l’indifferenza, nella mancanza di una oggettività e la prevalenza della
soggettività nell’egoismo, dall’altro consegna il segreto per uscire da questo
mondo materialistico, senza ragionevolezza, dove il bisogno primario è ora
diventato il superfluo, per una ridondante voglia di apparenza, che toglie la
vera sostanza all’essere umano.
Con l’avvento dell’età moderna la visione di
Dio al centro di interesse e attenzione dell’uomo nella ricerca di una vita
oltre la morte, è stata ribaltata dalla visione dell’uomo come fulcro della
modernità, che l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci definisce “l’uomo come misura di tutte le
cose”. Ecco che si torna sempre alla questione originaria,
dell’uomo che non comprende quanto piccola sia la sua mole rispetto
all’universo, quanto grande sia la sua ambizione di sapere tutto, quando noi
sappiamo bene che la conoscenza suprema è impossibile da raggiungere, perché i
nostri sensi hanno un confine limitato solo alla conoscenza sensibile, e di
questa possiamo solo svelarne una minima parte. Platone, Aristotele, e altri
antichi filosofi greci ne erano consapevoli, e più recentemente Kant si
limitava allo studio del fenomeno e tralasciava di indagare il noumeno, lo
stesso accadrà più avanti con Schopenhauer. Tornando alla silloge del nostro
autore, cogliendo il punto di vista strutturale dei testi, è palese la mancanza
dei segni di interpunzione, di cesure, e questo per un verso, per noi ha un
importante significato che si ricollega al senso del tempo, che è tripartito in
ordine cronologico, e per un altro verso è circolare e senza limiti o confini.
Il passato è la memoria storica, le nostre radici, di cui non possiamo non
tenere conto, perché siamo figli del nostro tempo, un tempo che abbiamo
determinato noi stessi. Noi ci assegniamo dei compiti, le nostre fatiche
quotidiane, e poi di conseguenza la relativa velocità di esecuzione. Un modo
solo per cercare di evadere i problemi, arrendendoci all’evidenza, alla
consapevolezza che non possiamo fare nulla per cambiare il mondo. Per il poeta
il tempo che passa è saggezza acquisita, come ben erano a conoscenza i greci di
Atene, che per diventare filosofi, uomini saggi che per potere governare con
tale saggezza, dovevano continuare la loro formazione fino alla veneranda età
di sessant’anni. Il linguaggio che utilizza l’autore è: Non sprecare il tuo
tempo, condividilo con altri / cesella ogni tuo ricordo / intaglia, modella
come pietra preziosa dentro di te /.
Come per la lirica sul Natale usando l’imperativo categorico “si deve fare festa” / con ipocrisia / col
consumismo imperante / è solo una maschera / uomo ti nascondi / invece fatti
sostanza del tuo spirito / Natale è stare con gli ultimi / il regalo più bello
sotto l’albero, una grande luce per accendere le menti buie. E ancora: L’amore è libero / Saman ha trovato i muri dell’ignoranza e
dell’indifferenza umana /. Per il nostro poeta, il ricordo del padre ha
segnato la sua crescita nel seguire le sue orme, una grave perdita avvenuta anzitempo,
e nella fragilità della malattia è caduta la sua corazza e ha svelato la
presenza autentica di un uomo da imitare, “dolce fiamma che scalderà
il suo cuore”. Sempre ricordi nella lirica “nostalgia” e nella poesia “ricordi di un tempo” i ricordi sono come fiori che mantengono la
freschezza” / ricordi che scavano dentro / e l’uomo sarà il contadino
che curerà il suo giardino.
Termini come tenerezza,
malinconia, ricordi come respiro dell’anima, rugiada di memoria, ristoro
indelebile, speranza di rivivere ogni istante. Speranza di fermare i bei
momenti che presto diventeranno ricordi e come dice il poeta nella lirica “ieri”
/ i ricordi sono già un canto /. Ricordi tristi di uomini imbarbariti
nei campi della morte. “Ogni uomo ha diritto alla sua dignità,
libertà”. Ora, nella mancanza della punteggiatura, il poeta utilizza
consonanti capo verso dal carattere maiuscolo per enfatizzare il suo messaggio
sociale-civile lasciando aperto, senza mai chiudere con un recinto le sue
emozioni, i suoi moniti, i suoi imperativi, i consigli, con un climax
ascendente che trova l’approdo in un’isola felice dove prevale la fede e la
speranza. Frequenti sono gli enjambement e i richiami alla natura che si
personifica, “ti sentirai la farfalla /anche se sarà lacera la tua anima
potrai posarti su una nuova pianta e sentire l’abbraccio del sole / (anche
qui è presente la personificazione). L’alternanza nelle liriche della
carezzevole voce dell’amore, porto sicuro dove rifugiarsi come “antidoto al
dolore”. E dentro l’anima abita quel fanciullino di cui parlava Pascoli. “Una
gioia fanciullesca solca minuti incontenibili di pura felicità”. “Onde
fresche / nella lirica “La forza del cuore” si inseguono fino ad abbracciarsi” Ancora trasformazione
panica nell’intreccio uomo-natura, e ricorda “La pioggia del pineto” di
Gabriele D’Annunzio. L’autore nella poesia “ragazzi di periferia” affronta il tema delle giovani generazioni
dimenticate dalle istituzioni, la criminalità, “ma non hanno colpa sono nati in famiglie senza valori”. In “vita
e morte” l’autore ci consegna la
ciclicità del binomio ossimorico dove il filo conduttore può essere ricondotto
al filosofo greco Empedocle, al suo pensiero delle forze contrapposte che
disgregandosi poi si aggregano. “La
vita è una serie di ostacoli da superare” / non c’è una vera morte / dalla
morte nasce un nuovo inizio”.
Nella lirica “vanesio” il poeta consiglia: “vivi in un mondo di plastica / ostenti
bellezza e presunzione / e non ti accorgi che sei solo in orizzonti chiusi” /.
Ed ecco che in chiusura della seconda sezione compare puntuale il monito di “ribaltare
il mondo materiale / solo così ci sarà la vera crescita spirituale / e saremo
protetti al riparo dalle insidie quotidiane / senza paura e mai mollare”. Si arriva così alla sezione dedicata al
futuro. Nella lirica “inchiostro
di speranza”. La poesia diventa
catarsi e “porta luce di speranza
nel futuro”. Lo scrittore ha un’arma per combattere le piccole e grandi
battaglie del giorno e del mondo: “io combatterò con la mia penna / sarò
solo una goccia / ma tu in questa goccia d’inchiostro di speranza annegherai /. Il poeta attua ora un completo reset
mettendo ordine nella sua vita per “costruire
nuovi significati / niente conta quanto vivere di sentimenti ed emozioni / di
amore / nel dare la mano agli altri” /.
La silloge dopo l’assetto
tripartito delle sezioni sull’argomento tempo, è corredata da un’ultima parte
dedicata a brevi poesie sul genere poetico Haiku che contengono, pur nella loro
brevità ed essenzialità, temi che hanno analogia con gli altri trattati
precedentemente, anche l’ultima sezione si chiude con la certezza che vincerà
la verità. Chiudiamo così la nostra disamina sul testo, un girotondo iniziale e
uno finale, fatto di radici che affondano nella tradizione secolare, dove le
generazioni sono i custodi di un tempo-non tempo, per l’annullamento della
guerra, la ricerca della pace, per l’obiettivo di un mondo d’amore universale fondato
sui sentimenti e le emozioni di una umanità che non è ancora del tutto perduta,
il ritorno al romanticismo senza la presenza dell’eroe che combatte e sacrifica
se stesso per il sentimento nazionale. Ora l’eroe-uomo dovrà combattere per la
patria del proprio Io, per rimanere uomo in un mondo in divenire che vorrebbe
annullare la sua umanità, la dignità di un’anima spirituale per poi risanare il
mondo malato e alimentato di apparenze per svelarne la vera sostanza
nell’essenzialità e nel risanamento, farsi portatore di un’anima spirituale che
sente e prova emozione e sentimenti, condizione basilare per trovare l’altro,
il fratello e darsi la mano per l’obiettivo ultimo e concreto della pace
universale nella ritrovata sacralità.
Dorothea Matranga
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