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In questo n. 39 incontriamo il poeta e traduttore Marco
Scalabrino con una recensione al volume: “Il tesoro dei proverbi latini”
del poeta Umberto Zanetti.
Buona lettura
a voi!
Umberto Zanetti
IL TESORO DEI PROVERBI LATINI
di Marco Scalabrino
“La presente
raccolta – asserisce Umberto Zanetti nella nota introduttiva a questo suo
lavoro – trascende il valore della cultura latina, che è notevolissimo e
sterminato, ricordandoci quale incomparabile tesoro racchiuda l’aforistica,
un’autentica scienza che è di tutte le grandi culture, di tutte le civiltà, di
tutti i popoli. Le massime possiedono sempre l’autorevolezza di un
ammaestramento, essendo fondate sull’osservazione, sull’esperienza e sulla
riflessione. Abbeveriamoci dunque al calice della saggezza antica, che è
maestra di vita, apprezziamone gli insegnamenti e non disperdiamone il tesoro.”
“I proverbi (come
tutte le “scritture brevi”) – appunta Vincenzo Guarracino nella sua postfazione
dal titolo La sapienza del frammento
– dicono da sé già tutto e sembrano avere una pienezza di senso. La ricchissima
raccolta di Umberto Zanetti – prosegue – professa la sua devozione nei
confronti della cultura latina … consente una visione di quanta sapienza [è
contenuta] in quelle scintille di autentico sapere universale.”
Con tali autorevoli
premesse, assodato che, magari senza che noi se ne abbia coscienza e malgrado
siano trascorsi due millenni, molte di quelle massime, molte più invero di
quanto non si creda, fanno parte integrante della nostra quotidianità e ci
danno (o ci potrebbero dare, se concretamente noi le mettessimo in pratica) una
mano per districarci meglio nella vita di oggi, proveremo ad estrarre dalle
oltre duecento pagine del libro di Umberto Zanetti (poeta, prosatore, saggista,
accademico) una emblematica manciata, una selezione essenziale di poco meno di
una trentina di motti (fra gli oltre i seicento proposti), corredati dalle
delucidazioni poste a commento nel volume medesimo. Esempi scelti per la loro
specifica attinenza a tre parametri: l’attualità, la poesia, le ricadute sul
dialetto siciliano. Fra essi, constateremo, una specialissima ribalta, una
preminentissima fetta se la ritaglierà Quinto Orazio Flacco.
1. Adducere inconvenientes non est solvere
argomentum. / Continuare a parlare delle difficoltà non risolve il
problema; 2. Ad sal, ad mel, ad piper semper cucurbita est. / Con il sale, con il miele, con il
pepe una zucca sempre tale rimane. E, nel siciliano, Conzala comu voi, sempri
cucuzza è!; 3. Ambitiosa recidet
ornamenta. Un buon poeta – scrive Orazio nella sua Ars Poetica – toglierà dalle sue composizioni gli ornamenti
dettati dall’ambizione; 4. Amicitia inter
pocula contracta, plerumque est
vitrea. / L’amicizia nata a tavola mentre si beve è più fragile del vetro
dei bicchieri; 5. Audacter calumniare,
semper aliquid haeret. / Calunniate,
calunniate! Qualcosa resterà. Nel siciliano vi è simile nel significato: Lu carvuni si nun tinci mascarìa; 6. Aut insanit homo aut facit versus.
Questa sentenza di Orazio suona a difesa dei poeti, che scriverebbero versi per
non impazzire; 7. Barba non facit
philosophum. / L’abito non fa il monaco; 8. Carmina non dant panem. Le poesie, sostiene Orazio, non danno pane;
9. Carpe diem. In questa celebre
esortazione rivolta all’amica Leucònoe, Orazio riassume in due sole parole una
filosofia di vita che induce a non preoccuparsi troppo del domani e a gustare i
piccoli piaceri quotidiani che la vita riserva; 10. Cotidie est deterior posterior dies. Il giorno che verrà –
ammonisce Publilio Siro nelle Sentenze
– è sempre peggiore di quello che sta passando. Nel siciliano vi è simile nel
significato: Megghiu lu tintu canusciutu
chi lu bonu a canusciri; 11. De
gustibus non est disputandum. / Dei gusti non si deve discutere. Plutarco riporta che Giulio Cesare, mentre era
governatore della Cisalpina dal 59 al 55 a.C., una sera andò assieme ai più
stretti collaboratori ospite nella domus milanese del ricco e influente Valerio
Leone. Tra le portate venne servita una preparazione di asparagi conditi con il
burro. Ai generali la pietanza non piacque affatto (abituati all’olio d’oliva e
non al burro, usato a Roma come unguento), così la indicarono come cibo
“barbaro” non adatto al loro palato. Di fronte all’imbarazzante situazione
Cesare, da uomo intelligente ed avveduto, placò gli animi con la frase: De gustibus non disputandum est;
12. Dimidium factum qui coepit
habet. / Chi ben comincia è a metà dell’opera, asserisce Orazio nelle Epistole; 13. Est modus in rebus. Tutte le cose sottostanno a una regola, afferma
Orazio nell’Ars Poetica; 14. Etiam oculi satiari debentur. / Anche
gli occhi debbono essere saziati. Puru
l’occhiu voli la so parti, nel siciliano; 15. Excusatio non petita accusatio manifesta. / Chiedere scusa quando
non espressamente richiesto può equivalere a un’autoaccusa o a una ammissione
di colpa; 16. Genus irritabile vatum,
è l’espressione usata da Orazio nelle Epistole
per indicare la suscettibile schiatta dei poeti; 17. Gutta cavat lapidem non vi sed saepe cadendo. /
La goccia scava la
pietra non con la forza ma cadendo spesso. In siciliano vi è simile nel
significato Dammi tempu chi ti perciu,
come dire: la perseveranza permette di ottenere tutto ciò che si desidera; 18. Ignorantia legis non excusat. /
L’ignoranza della
legge non può essere addotta a scusante; 19. In medio stat virtus. / Il valore sta nel mezzo. In questo
aforisma, Orazio invita a ricorrere al buon senso evitando di assumere
posizioni estreme; 20. Nescit vox missa
reverti. / Voce dal sen fuggita più richiamare non vale, ammonisce Orazio
nell’Ars Poetica, volendo nella
fattispecie consigliare di mondare un’opera letteraria da ogni imperfezione
prima di diffonderla; 21. Non omnis
moriar. / Non morirò del tutto, scrisse Orazio nelle Odi, confidando nell’immortale valore della propria poesia; 22. Omnia licet poetis. / Tutto è permesso
ai poeti. Il detto si fonda sulla enorme considerazione che dei poeti, alunni
di Apollo e delle Muse, si aveva nella antica Grecia; 23. Pecunia non olet. / Il denaro non puzza. Secondo alcuni il motto fu
pronunziato dall’imperatore Vespasiano, il quale avvicinato al naso di Tito, il
figlio, un sesterzio del denaro raccolto con la tassa sugli orinatoi esclamò: Non olet!; 24. Pictoribus atque poetis quidlibet audendi semper fuit aequa potestas.
/ Sempre fu riconosciuta ai poeti e ai pittori il potere di osare qualunque
cosa, sentenzia Orazio nell’Ars Poetica;
25. Qualem nequo monstrare, et sentio
tantum. / Non posso mostrare quale sia e lo sento soltanto. Così Giovenale
definì la Poesia, intesa come fenomeno indefinibile; 26. Quandoque bonus dormitat Homerus. / Talvolta il buon Omero
dormicchia. Così Orazio nell’Ars Poetica
giustifica qualche lieve difetto nelle opere dei grandi. Sarebbe troppo
pretendere la perfezione; 27. Quod tibi
fieri non vis, alteri ne feceris. / Non fare agli altri ciò che non vuoi
sia fatto a te; 28. Tot capita quot
sententiae. / Tanti sono i pareri quante sono le teste. Nel siciliano, Ogni testa è un tribunali.
E ancora, pari pari
adottati e che non abbisognano di alcun commento: Ad interim, ad libitum, ad maiora, ad personam, alter ego, a
posteriori, a priori, aut aut, bis, cum grano salis, de cuius, deficit, do ut
des, errata corrige, ex aequo, forma mentis, honoris causa, in camera
caritatis, in itinere, inter nos, labor limae, lupus in fabula, modus vivendi,
non plus ultra, obtorto collo, pro forma, pro tempore, sic stantibus rebus,
sine qua non, tertium non datur, transeat, una tantum.
In conclusione una
considerazione: Parrari latinu, nel
siciliano, non è d’altronde sinonimo di parlare chiaro, parlare con
franchezza?!
(Nelle foto: dall’alto il poeta e traduttore Marco Scalabrino , il
volume e l’autore Umberto Zanetti).
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