Signori Presidenti della Camera dei
Deputati e del Senato della Repubblica,
Signori parlamentari e delegati regionali,
il Parlamento e i rappresentanti delle
Regioni hanno preso la loro decisione.
È per me una nuova chiamata – inattesa -
alla responsabilità; alla quale tuttavia non posso e non ho inteso sottrarmi.
Ritorno dunque di fronte a questa
Assemblea, nel luogo più alto della rappresentanza democratica, dove la volontà
popolare trova la sua massima espressione.
Vi ringrazio per la fiducia che mi avete
manifestato chiamandomi per la seconda volta a rappresentare l’unità della
Repubblica.
Adempirò al mio dovere secondo i principi e
le norme della Costituzione, cui ho appena rinnovato il giuramento di fedeltà,
e a cui ho cercato di attenermi in ogni momento nei sette anni trascorsi.
La lettera e lo spirito della nostra Carta
continueranno a essere il punto di riferimento della mia azione.
Il mio pensiero, in questo momento, è
rivolto a tutte le italiane e a tutti gli italiani: di ogni età, di ogni
Regione, di ogni condizione sociale, di ogni orientamento politico. E, in
particolare, a quelli più in sofferenza, che si attendono dalle istituzioni
della Repubblica garanzia di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte al
loro disagio.
Queste attese sarebbero state fortemente
compromesse dal prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di
tensioni, le cui conseguenze avrebbero potuto mettere a rischio anche risorse
decisive e le prospettive di rilancio del Paese impegnato a uscire da una
condizione di gravi difficoltà.
Leggo questa consapevolezza nel voto del
Parlamento che ha concluso i giorni travagliati della scorsa settimana.
Travagliati per tutti, anche per me.
È questa stessa consapevolezza la ragione
del mio sì e sarà al centro del mio impegno di Presidente della nostra
Repubblica nell’assolvimento di questo nuovo mandato.
Nel momento in cui i Presidenti di Camera e
Senato mi hanno comunicato l’esito della votazione, ho parlato delle urgenze -
sanitaria, economica, sociale - che ci interpellano. Non possiamo permetterci
ritardi, né incertezze.
La lotta contro il virus non è conclusa, la
campagna di vaccinazione ha molto ridotto i rischi, ma non ci sono consentite
disattenzioni.
È di piena evidenza come la ripresa di ogni
attività sia legata alla diffusione dei vaccini che proteggono noi stessi e gli
altri.
Questo impegno si unisce a quello per la
ripresa, per la costruzione del nostro futuro.
L’Italia è un grande Paese.
Lo spirito di iniziativa degli italiani, la
loro creatività e solidarietà, lo straordinario impegno delle nostre imprese,
le scelte delle istituzioni ci hanno permesso di ripartire. Hanno permesso
all’economia di raggiungere risultati che adesso ci collocano nel gruppo di
testa dell’Unione. Ma questa ripresa, per consolidarsi e non risultare
effimera, ha bisogno di progettualità, di innovazione, di investimenti nel
capitale sociale, di un vero e proprio salto di efficienza del sistema-Paese.
Nuove difficoltà si presentano. Le famiglie
e le imprese dovranno fare i conti con gli aumenti del prezzo dell’energia.
Preoccupa la scarsità e l’aumento del prezzo di alcuni beni di importanza
fondamentale per i settori produttivi.
Viviamo una fase straordinaria in cui
l’agenda politica è in gran parte definita dalla strategia condivisa in sede
europea.
L’Italia è al centro dell’impegno di
ripresa dell’Europa. Siamo i maggiori beneficiari del programma Next Generation
e dobbiamo rilanciare l’economia all’insegna della sostenibilità e
dell’innovazione, nell’ambito della transizione ecologica e digitale.
La stabilità di cui si avverte l’esigenza
è, quindi, fatta di dinamismo, di lavoro, di sforzo comune.
I tempi duri che siamo stati costretti a
vivere ci hanno lasciato una lezione: dobbiamo dotarci di strumenti nuovi per
prevenire futuri possibili pericoli globali, per gestirne le conseguenze, per
mettere in sicurezza i nostri concittadini.
L’impresa alla quale si sta ponendo mano
richiede il concorso di ciascuno.
Forze politiche e sociali, istituzioni
locali e centrali, imprese e sindacati, amministrazione pubblica e libere professioni,
giovani e anziani, città e zone interne, comunità insulari e montane. Vi siamo
tutti chiamati.
L’esempio ci è stato offerto da medici,
operatori sanitari, volontari, da chi ha garantito i servizi essenziali nei
momenti più critici, dai sindaci, dalle Forze Armate e dalle Forze dell’ordine,
impegnate a sostenere la campagna vaccinale: a tutti va riaffermata la nostra
riconoscenza.
Questo è l’orizzonte che abbiamo davanti.
Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire,
in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza.
È ancora tempo di un impegno comune per
rendere più forte la nostra Patria, ben oltre le difficoltà del momento.
Un’Italia più giusta, più moderna,
intensamente legata ai popoli amici che ci attorniano.
Un Paese che cresca in unità.
In cui le disuguaglianze - territoriali e
sociali - che attraversano le nostre comunità vengano meno.
Un’Italia che offra ai suoi giovani
percorsi di vita nello studio e nel lavoro per garantire la coesione del nostro
popolo.
Un’Italia che sappia superare il declino
demografico a cui l’Europa sembra condannata.
Un’Italia che tragga vantaggio dalla
valorizzazione delle sue bellezze, offrendo il proprio modello di vita a
quanti, nel mondo, guardano ad essa con ammirazione.
Un’Italia impegnata nella difesa
dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, consapevole delle
responsabilità nei confronti delle future generazioni.
Una Repubblica capace di riannodare il
patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e
democratiche.
Rafforzare l’Italia significa, anche,
metterla in grado di orientare il processo per rilanciare l’Europa, affinché
questa divenga più efficiente e giusta; rendendo stabile e strutturale la
svolta che è stata compiuta nei giorni più impegnativi della pandemia.
L’apporto dell’Italia non può mancare:
servono idee, proposte, coerenza negli impegni assunti.
La Conferenza sul futuro dell’Europa non
può risolversi in un grigio passaggio privo di visione storica ma deve essere
l’occasione per definire, con coraggio, una Unione protagonista nella comunità
internazionale.
In aderenza alle scelte della nostra
Costituzione, la Repubblica ha sempre perseguito una politica di pace. In essa,
con ferma adesione ai principi che ispirano l’Organizzazione delle Nazioni
Unite, il Trattato del Nord Atlantico, l’Unione Europea, abbiamo costantemente
promosso il dialogo reciprocamente rispettoso fra le diverse parti affinché
prevalessero i principi della cooperazione e della giustizia.
Da molti decenni i Paesi europei possono
godere del dividendo di pace, concretizzato dall’integrazione europea e accresciuto
dal venir meno della Guerra fredda.
Non possiamo accettare che ora, senza
neppure il pretesto della competizione tra sistemi politici ed economici
differenti, si alzi nuovamente il vento dello scontro; in un continente che ha
conosciuto le tragedie della Prima e della Seconda guerra mondiale.
Dobbiamo fare appello alle nostre risorse e
a quelle dei Paesi alleati e amici affinché le esibizioni di forza lascino il
posto al reciproco intendersi, affinché nessun popolo debba temere
l’aggressione da parte dei suoi vicini.
I popoli dell’Unione Europea devono anche
essere consapevoli che ad essi tocca un ruolo di sostegno ai processi di
stabilizzazione e di pace nel martoriato panorama mediterraneo e
medio-orientale. Non si può sfuggire alle sfide della storia e alle relative
responsabilità.
Su tutti questi temi – all’interno e nella
dimensione internazionale - è intensamente impegnato il Governo guidato dal
Presidente Draghi; nato, con ampio sostegno parlamentare, nel pieno
dell’emergenza e ora proiettato a superarla, ponendo le basi di una stagione
nuova di crescita sostenibile del nostro Paese e dell’Europa. Al Governo
esprimo un convinto ringraziamento e gli auguri di buon lavoro.
I grandi cambiamenti che stiamo vivendo a
livello mondiale impongono soluzioni rapide, innovative, lungimiranti, che
guardino alla complessità dei problemi e non soltanto agli interessi
particolari.
Una riflessione si propone anche sul
funzionamento della nostra democrazia, a tutti i livelli.
Proprio la velocità dei cambiamenti
richiama, ancora una volta, al bisogno di costante inveramento della
democrazia.
Un’autentica democrazia prevede il doveroso
rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione,
partecipazione. L’esigenza di governare i cambiamenti sempre più rapidi
richiede risposte tempestive. Tempestività che va comunque sorretta da
quell’indispensabile approfondimento dei temi che consente puntualità di
scelte.
Occorre evitare che i problemi trovino
soluzione senza l’intervento delle istituzioni a tutela dell’interesse
generale: questa eventualità si traduce sempre a vantaggio di chi è in
condizioni di maggiore forza.
Poteri economici sovranazionali tendono a
prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico.
Su un altro piano, i regimi autoritari o
autocratici tentano ingannevolmente di apparire, a occhi superficiali, più
efficienti di quelli democratici, le cui decisioni, basate sul libero consenso
e sul coinvolgimento sociale, sono, invece, più solide ed efficaci.
La sfida – che si presenta a livello
mondiale – per la salvaguardia della democrazia riguarda tutti e anzitutto le
istituzioni.
Dipenderà, in primo luogo, dalla forza del
Parlamento, dalla elevata qualità della attività che vi si svolge, dai
necessari adeguamenti procedurali.
Vanno tenute unite due esigenze
irrinunziabili: rispetto dei percorsi di garanzia democratica e, insieme,
tempestività delle decisioni.
Per questo è cruciale il ruolo del
Parlamento, come luogo della partecipazione. Il luogo dove si costruisce il
consenso attorno alle decisioni che si assumono. Il luogo dove la politica
riconosce, valorizza e immette nelle istituzioni ciò che di vivo emerge dalla
società civile.
Così come è decisivo il ruolo e lo spazio
delle autonomie. Il pluralismo delle istituzioni, vissuto con spirito di
collaborazione – come abbiamo visto nel corso dell’emergenza pandemica –
rafforza la democrazia e la società.
Non compete a me indicare percorsi
riformatori da seguire. Ma dobbiamo sapere che dalle risposte che saranno date
a questi temi dipenderà la qualità della nostra democrazia.
Quel che appare comunque necessario –
nell’indispensabile dialogo collaborativo tra Governo e Parlamento è che -
particolarmente sugli atti fondamentali di governo del Paese – il Parlamento
sia posto in condizione sempre di poterli esaminare e valutare con tempi
adeguati. La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio
non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi.
Appare anche necessario un ricorso ordinato
alle diverse fonti normative, rispettoso dei limiti posti dalla Costituzione.
La qualità stessa e il prestigio della
rappresentanza dipendono, in misura non marginale, dalla capacità dei partiti
di esprimere ciò che emerge nei diversi ambiti della vita economica e sociale,
di favorire la partecipazione, di allenare al confronto.
I partiti sono chiamati a rispondere alle
domande di apertura che provengono dai cittadini e dalle forze sociali.
Senza partiti coinvolgenti, così come senza
corpi sociali intermedi, il cittadino si scopre solo e più indifeso. Deve poter
far affidamento sulla politica come modalità civile per esprimere le proprie
idee e, insieme, la propria appartenenza alla Repubblica.
Il Parlamento ha davanti a sé un compito di
grande importanza perché, attraverso nuove regole, può favorire una stagione di
partecipazione.
Anche sul piano etico e culturale è
necessario – proprio nel momento della difficoltà – sollecitare questa passione
che in tanti modi si esprime nella nostra comunità. Tutti i giovani in primo
luogo, tutti, particolarmente loro, sentono sulle proprie spalle la
responsabilità di prendere il futuro del Paese, portando nella politica e nelle
istituzioni novità ed entusiasmo.
Rivolgo un saluto rispettoso alla Corte
Costituzionale, presidio di garanzia dei principi della nostra Carta.
Nell’inviare un saluto alle nostre
Magistrature – elemento fondamentale del sistema costituzionale e della vita
della società –mi preme sottolineare che un profondo processo riformatore deve
interessare anche il versante della giustizia.
Per troppo tempo è divenuta un terreno di
scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività.
Nella salvaguardia dei principi,
irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della Magistratura – uno dei
cardini della nostra Costituzione - l’ordinamento giudiziario e il sistema di
governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti
esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai
cittadini.
È indispensabile che le riforme annunciate
giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio Superiore della
Magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando
le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare,
superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono restare
estranee all’Ordine giudiziario.
Occorre per questo che venga recuperato un
profondo rigore.
In sede di Consiglio Superiore ho da tempo
sottolineato che indipendenza e autonomia sono principi preziosi e basilari
della Costituzione ma che il loro presidio risiede nella coscienza dei
cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con
urgenza.
I cittadini devono poter nutrire
convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine
giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni
arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto,
incidono sulla vita delle persone.
Va sempre avvertita la grande delicatezza
della necessaria responsabilità che la Repubblica affida ai magistrati.
La Magistratura e l’Avvocatura sono
chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo
recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia,
allineandola agli standard europei.
Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace,
elemento significativo nella politica internazionale della Repubblica, alle
Forze dell’ordine, garanzia di libertà nella sicurezza, esprimo il mio
apprezzamento, unitamente al rinnovo del cordoglio per quanti hanno perduto la
vita nell’ assolvimento del loro dovere.
Nel salutare il Corpo Diplomatico
accreditato, ringrazio per l’amicizia e la collaborazione espressa nei
confronti del nostro Paese.
Ai numerosi nostri connazionali presenti
nelle più diverse parti del globo va il mio saluto affettuoso, insieme al
riconoscimento per il contributo che danno alla comprensione dell’identità
italiana nel mondo.
A Papa Francesco, al cui magistero l’Italia
guarda con grande rispetto, esprimo i sentimenti di riconoscenza del popolo
italiano.
Un messaggio di amicizia invio alle
numerose comunità straniere presenti in Italia: la loro affezione nei confronti
del nostro Paese in cui hanno scelto di vivere e il loro apporto alla vita
della nostra società sono preziosi.
L’Italia è, per antonomasia, il Paese della
bellezza, delle arti, della cultura. Così nel resto del mondo guardano,
fondatamente, verso di noi.
La cultura non è il superfluo: è un
elemento costitutivo dell’identità italiana.
Facciamo in modo che questo patrimonio di
ingegno e di realizzazioni – da preservare e sostenere – divenga ancor più una
risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di
sviluppo economico. Risorsa importante particolarmente per quei giovani che
vedono nelle università, nell’editoria, nelle arti, nel teatro, nella musica,
nel cinema un approdo professionale in linea con le proprie aspirazioni.
Consentitemi di ricordare, per renderle
omaggio, una grande protagonista del nostro cinema e del nostro Paese: Monica
Vitti.
Sosteniamo una scuola che sappia accogliere
e trasmettere preparazione e cultura, come complesso dei valori e dei principi
che fondano le ragioni del nostro stare insieme; scuola volta ad assicurare
parità di condizioni e di opportunità.
Costruire un’Italia più moderna è il nostro
compito.
Ma affinché la modernità sorregga la
qualità della vita e un modello sociale aperto, animato da libertà, diritti e
solidarietà, è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà
come asse portante delle politiche pubbliche.
Nell’ultimo periodo gli indici di
occupazione sono saliti - ed è un dato importante - ma ancora tante donne sono
escluse dal lavoro, e la marginalità femminile costituisce uno dei fattori di
rallentamento del nostro sviluppo, oltre che un segno di ritardo civile,
culturale, umano.
Tanti, troppi giovani sono sovente
costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie
esistenziali.
È doveroso ascoltare la voce degli
studenti, che avvertono tutte le difficoltà del loro domani e cercano di
esprimere esigenze, domande volte a superare squilibri e contraddizioni.
La pari dignità sociale è un caposaldo di
uno sviluppo giusto ed effettivo.
Le diseguaglianze non sono il prezzo da
pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni prospettiva reale
di crescita.
Nostro compito – come prescrive la
Costituzione – è rimuovere gli ostacoli.
Accanto alla dimensione sociale della
dignità, c’è un suo significato etico e culturale che riguarda il valore delle
persone e chiama in causa l’intera società.
La dignità.
Dignità è azzerare le morti sul lavoro, che
feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi. Perché la sicurezza del
lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita.
Mai più tragedie come quella del giovane
Lorenzo Parelli, entrato in fabbrica per un progetto scuola-lavoro.
Quasi ogni giorno veniamo richiamati
drammaticamente a questo primario dovere del nostro Paese.
Dignità è opporsi al razzismo e
all’antisemitismo, aggressioni intollerabili, non soltanto alle minoranze fatte
oggetto di violenza, fisica o verbale, ma alla coscienza di ognuno di noi.
Dignità è impedire la violenza sulle donne,
piaga profonda e inaccettabile che deve essere contrastata con vigore e sanata
con la forza della cultura, dell’educazione, dell’esempio.
La nostra dignità è interrogata dalle
migrazioni, soprattutto quando non siamo capaci di difendere il diritto alla
vita, quando neghiamo nei fatti dignità umana agli altri.
È anzitutto la nostra dignità che ci impone
di combattere, senza tregua, la tratta e la schiavitù degli esseri umani.
Dignità è diritto allo studio, lotta
all’abbandono scolastico, annullamento del divario tecnologico e digitale.
Dignità è rispetto per gli anziani che non
possono essere lasciati alla solitudine, e neppure possono essere privi di un
ruolo che li coinvolga.
Dignità è contrastare le povertà, la
precarietà disperata e senza orizzonte che purtroppo mortifica le speranze di
tante persone.
Dignità è non dover essere costrette a
scegliere tra lavoro e maternità.
Dignità è un Paese dove le carceri non
siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti. Questa
è anche la migliore garanzia di sicurezza.
Dignità è un Paese non distratto di fronte
ai problemi quotidiani che le persone con disabilità devono affrontare.
Confidiamo in un Paese capace di rimuovere gli ostacoli che
immotivatamente incontrano nella loro vita.
Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal
ricatto della criminalità, libero anche dalla complicità di chi fa finta di non
vedere.
Dignità è assicurare e garantire il
diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente.
La dignità, dunque, come pietra angolare
del nostro impegno, della nostra passione civile.
A questo riguardo – concludendo - desidero
ricordare in quest’aula il Presidente di un’altra Assemblea parlamentare,
quella europea, David Sassoli.
La sua testimonianza di uomo mite e
coraggioso, sempre aperto al dialogo e capace di rappresentare le democratiche
istituzioni ai livelli più alti, è entrata nell’animo dei nostri concittadini.
“Auguri alla nostra speranza” sono state le
sue ultime parole in pubblico.
Dopo avere appena detto: “La speranza siamo
noi”.
Ecco, noi, insieme, responsabili del futuro
della nostra Repubblica.
Viva la Repubblica, viva l’Italia!
Sergio Mattarella
(Nella foto da sx il Presidente della Camera Roberto Fico, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarellla e la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ).
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