Articolando
Articolando, è una nuova rubrica per dar voce a tutti gli amanti della poesia, dell'arte, della storia, della pittura, della critica letteraria attraverso recensioni, relazioni e articoli strettamente culturali.
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In questo n. 23 incontriamo la poetessa e giornalista Isabella Stefanelli con un articolo per lo spettacolo di poesia-danza tratto libro "Prendo il corpo in parola" di Francesca Guajana . Buona lettura a tutti voi!
La danza del corpo è
un moto dell’anima.
Nel silenzio
nell’urlo
noi
siamo
nel movimento
dell’attesa
Attesa
nell’intero
percorso
Dentro
un concerto
di voci. “Il movimento dell’attesa” di Francesca
Guajana
E se la vita dell’artista, non fosse che questo: un’attesa?
Cosa aspettavano in realtà Vladimiro ed Estragone in
“Aspettando Godot”? E Totò e Vicè, la coppia nata dallo stato di grazia della
penna di Franco Scaldati?
Quest’attesa non è che la vibrante tensione della ricerca,
della scoperta, dello stupore e poi della ricerca ancora. La conoscenza. Così
scriveva il maestro Antonio Neiwiller: “ Niente mi affascina di più/ che la
tensione che si crea/ tra equilibrio e squilibrio/ tra ordine e disordine”.
Nel perpetuo movimento dell’attesa possiamo porci nella
condizione di vivere per imparare, per sperimentare. Da questa predisposizione
possono partire pregevoli vettori creativi, diretti in ogniddove, interpreti di
soluzioni espressive straordinarie.
“Prendo il corpo in parola” è uno di questi vettori, punto
di partenza il bouquet poetico di Francesca Guajana; ogni suo componimento è
dedicato al viaggio introspettivo fatto quotidianamente attraverso l’esperienza
dell’essere e sentirsi corpo. Alla ricerca della conoscenza interiore.
Il vettore ha presto raggiunto il suo punto fondamentale: Silvia
Giuffrè, danzatrice siciliana essa stessa chiave dell’esperienza interpretativa
delle parole poetiche. Ideatrice, coreografa e regista del suo studio sulla
poesia del gesto quotidiano. La visione del gesto come spaccato dei moti
dell’anima.
Il vettore ha preso la strada della performance, il viaggio
di questa energia si è imbattuto in Giuseppe Rizzo, ricercatore di sonorità
strumentali e campionate, narratore in musica.
Attraverso il percorso già battuto dalla poetessa, compiuto
con tutte le spinte vitali, i drammi, gli intimi dettagli, le enormi piccolezze
che fanno parte della vita, ci immergiamo in un secondo viaggio, quello
danzante, del corpo che perde i connotati fisici della materia e fondendosi con
la voce e il suono ne traduce i ritmi dei reconditi moti universali.
Silvia danzando, fa il gesto di sistemarsi l’orecchino,
piroetta , i suoi movimenti sono attraversati anche dai vari linguaggi tecnici
della danza, ma il più puro e vero rimane lo spazio dell’improvvisazione dove
il movimento è quello quotidiano, libero da formalismi e traboccante solo della
sua piena semplicità, tabula rasa.
Si indagano le braccia, il volto, le spalle, sezioni del tempio
che è il corpo, fino ad arrivare alla sua sacra cripta: il ventre.
E’ qui che Silvia svuota a terra un’ ampolla colma di acqua,
liquido generatore e in questa pozza inizia ad immergervi i piedi, nuova
creatura, generata da se’ stessa; e tra schizzi, e zampillli, bagnandosi nel
vortice dei movimenti ,si ri-genera. Nasce ancora.
E noi spettatori, in piena partecipazione, ormai dimentichi
del corpo in scena, abbiamo cominciato a seguirne i moti dell’anima .
Abbiamo dimenticato anche i nostri di corpi. Raggiunti
dall’assaggio di cosa sia l’armonia.
Isabella Stefanelli
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