Articolando
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In questo n. 27 rincontriamo il Dott. FRANCESCO CAMAGNA con una sua recensione al libro"SULITA'" del poeta marsalese NINO DE VITA, 2017 Edizioni Mesogea.
Proficua e sana lettura a tutti voi!
Recensione del Dott. Francesco Camagna alla silloge poetica “Sulità” del poeta Nino De Vita
Ci sono
solitudini e solitudini. Alcune ricercate a lungo, quasi agognate, altre
esistenziali. ”Ognuno sta solo sul cuor della terra” scriveva Salvatore
Quasimodo, evidenziando una condizione comune a tutti gli uomini durante il loro
breve passaggio sulla terra.
Le “sulità”
di De Vita sono situazioni di esclusione dal contesto delle relazioni umane,
dalla fratellanza con gli altri, subite involontariamente, determinate dalle
circostanze, dal destino avverso, dall’indifferenza, dalla cattiveria.
Con questa
raccolta( ed. Mesogea 2017) il poeta, nel dialetto di Cutusio, una delle
innumerevoli contrade del marsalese, in cui egli è nato ed ha sempre vissuto,
continua un’opera di custodia e recupero della memoria sia linguistica che storica,
sia individuale che collettiva, iniziata trent’anni fa quando, dopo alcune
felici esperienze poetiche in lingua italiana, culminate nella raccolta “Fosse
Chiti”, che incontrò l’apprezzamento di Giovanni Raboni, decise di passare al
dialetto.
E se la produzione
in lingua italiana era caratterizzata da un’impronta naturalistica, quasi
bucolica, quella nella parlata di Cutusio appare decisamente virare verso un contenuto
decisamente narrativo: la storia fa irruzione nella sua poetica in modo
dirompente, presentando un universo di personaggi e trame contraddistinte da
pathos, commozione, descrizione dettagliata delle scene attraverso sequenze che
assumono , a volte, per la loro estrema precisione , una valenza quasi cinematografica.
E’ una
poesia che potremmo definire epica, nella quale i protagonisti non sono eroi,
figure straordinarie, ma si possono considerare espressione di un’epopea dei
vinti, quasi nel senso verghiano del termine. Ne esce fuori una sorta di Spoon
River dei viventi. Sono personaggi che hanno fatto esperienza del dolore e ne
portano i segni, nei termini di una frattura, all’interno delle loro vite, che
non viene ricomposta. Nulla si aggiusta, si verifica soltanto un adattamento,
un assestamento. Il poeta diventa ,talvolta, anch’egli un personaggio delle
storie raccontate, dialoga, interagisce, si muove con profonda compassione
all’interno delle vicende,anche quando usa un tocco delicato d’ironia. Con
grande maestria ci conduce verso il finale delle storie, ma quasi mai lo svela
e lo lascia all’intuizione del lettore. L’ambientazione è sempre, come nelle
raccolte precedenti, quella di Cutusio e delle contrade vicine.
Tra i
ventiquattro racconti in versi che si dipanano musicalmente attraverso
l’utilizzo sapiente del settenario, verso scelto da De Vita per dare ritmo alla
narrazione,compaiono, accomunati dalla matrice comune della solitudine dei
protagonisti, diversi temi : ad esempio la privazione dell’amore materno in
“Michileddu”( “E quannu chiama tu, chi fai, cci vai?/Cci jia. Ora un ci vaiu
cchiù, picchi /idda chiama, mi chiama/ e poi ‘un si fa attruvari.); la povertà
in “Dommianu”, le liti familiari in “A sciarra”; l’amore non corrisposto in “U
rrialu”, dove il regalo comprato per l’amata( “ U tinia nna sacchetta ra
bbunaca/rintra una scatulicchia /cu ‘a
màttula) rimane imprigionato nella tasca del protagonista dopo che questi ha
compreso, attraverso un gioco di allusioni, che la donna ama un altro; la
perdita della vista in “Bbettu” dove il protagonista, diventato cieco in
seguito allo scoppio fra le sue mani di un ordigno bellico, afferma di
ricordare tutte le cose che vedeva un tempo: anche quelle più piccole come le
bolle dell’acqua quando pioveva forte,
le faville del fuoco, i colori del vestito che sua madre metteva per le
occasioni più importanti.
Anche i
libri, magistralmente descritti nella poesia
“I libbra”, sono soli, vivono una condizione di abbandono, disprezzati
come materia inerte, lasciati ad ammuffire negli scaffali. E la loro solitudine
diventa la solitudine delle tante vite in essi racchiuse.
“I libbra
stannu suli, comu chiddi/ chi sunnu disprizziati, l’angariati,/stritti ne ligna
muti...
Hannu
tristizzi i libbra/ ch’unni puemu fari scenti,/dulura linzittiusi.
Gnunianu
trisora, l’allisciati/ ri chiddu chi calatu/ a pinzari, a nchiappari/nne
fogghi,sapi chi/cci sunnu.
Esperienze
dolorose che vengono vissute all’interno del microcosmo di Cutusio : luogo dove
nasce la Poesia, cui fornisce l’humus sia dal punto di vista dei contenuti
che sotto il profilo linguistico. Il
poeta preserva ,ad un tempo, la memoria delle piccole storie e delle parole ad
esse associate: parole che i giovani sconoscono, fortemente ancorate nel
passato, arcaiche, ma che,proprio in forza di ciò, hanno una straordinaria
forza evocativa del dolore contenuto in questi umanissimi racconti. Dolore che
la Poesia non può cancellare, ma che può invece comprendere e raccontare
empaticamente come espressione di una sofferenza individuale e particolare, che
diventa universale.
Francesco Camagna
(Nelle foto: dall'alto il Dott. Francesco Camagna, la copertina della silloge poetica SULITA' e l'autore NINO DE VITA).
(Nelle foto: dall'alto il Dott. Francesco Camagna, la copertina della silloge poetica SULITA' e l'autore NINO DE VITA).
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