Articolando, è una
rubrica per dar voce a tutti gli amanti della poesia, dell'arte, della storia,
della pittura, della critica letteraria attraverso recensioni, relazioni e
articoli strettamente culturali.
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In questo n. 38
incontriamo la poetessa e scrittrice Anna Maria Bonfiglio con un interessante articolo
dal titolo: “Di poeti e poesia”.
Lieta lettura a tutti voi!
DI POETI E POESIA
di Anna Maria Bonfiglio
Poesia è una parola che sentiamo e
pronunciamo spesso, magari inserita in locuzioni di uso comune, direi quasi
quotidiano: la poesia della vita, la poesia dell’amore, un’immagine intrisa di
poesia, un film pieno di poesia. Chi può dire di non avere detto o ascoltato
frasi simili? E in questa accezione niente è più facile da comprendere di ciò
che voglia dire il termine poesia. Ma se ci inoltriamo in un territorio più
specifico e vogliamo dare una connotazione scientifica alla poesia, il discorso
diventa più complicato perché entriamo nel campo di quella comunicazione
linguistica che per esprimersi si serve di una lingua elaborata per immissione
di elementi mutuati dalla lingua primaria e combinati fra loro in modo tale da
dare vita a un linguaggio particolare, suggestivo, evocativo e musicale,
appunto il linguaggio poetico. Dobbiamo allora presupporre che per scrivere
poesia non basta l’ispirazione, vale a dire quel momento in cui siamo colti da
un forte impulso emotivo suggeritoci da una tensione sociale o dall’osservazione
attenta della natura o, ancora, da sentimenti d’amore, ma occorre che a queste
pulsioni esterne si aggiungano dei veri e propri strumenti tecnici che possiamo
ritrovare nell’antica ars rhetorica. Questo non vuol dire che per scrivere un testo
poetico dobbiamo compulsare di continuo un manuale di retorica, ma prendere in
considerazione la possibilità di appropriarci in qualche modo e in qualche
misura di alcune regole basilari che fanno di alcuni bei pensieri e di tanti
buoni sentimenti una vera poesia; regole che nel tempo sono state anche
rivoluzionate, che si sono frammiste a modelli innovativi e che hanno generato
forme poetiche nuove ancorché obbedienti ai principali canoni formali.
“Il poeta scrive perché se non lo facesse soffocherebbe”, scrisse Paul Valery. Perché è dal silenzio che ciascuno custodisce in sé che nasce il desiderio di comunicare, di dare respiro ai nodi dell’anima, di espandere la propria voce interiore in un’eco che fenda l’aria e arrivi all’altro. Il poeta è colui che parla agli altri con la sua propria lingua, una lingua che raccoglie gli elementi di una realtà comune a tutti e l’assolutizza per farne simbolo universale. Nel momento in cui il silenzio di cui si è nutrita la poesia nella sua fase gestazionale diviene voce, la pena privata diviene dolore del mondo e il solipsismo del poeta si fonde con l’umana solitudine, allargando un cerchio in cui sono racchiusi i valori dell’esistenza. Fra il poeta e il lettore si stabilisce, allora, un rapporto che trascende la fisicità, insieme vivono la “finzione poetica”, ossia il sogno di porre l’esistenza letteraria nell’ambito di una realtà immaginaria che fa riferimento alla polivalenza del mondo reale. E a proposito di questo legame fra il poeta e il lettore così si espresse Rilke: “Il canto del poeta non appartiene a nessuno eppure ciascuno può farlo suo.”
Nella foto la poetessa
e scrittrice Anna Maria BONFIGLIO)
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