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In questo n. 35 incontriamo la Prof.ssa, poetessa e scrittrice Matilde DI FRANCO con un articolo dal titolo “La poesia e la storia”
e una recensione ivi inclusa alla poesia inedita “Come urla del vento” della
poetessa Rosanna Vicari.
Buona lettura
a tutti voi!
La Poesia e la Storia
Il testo poetico è costruzione linguistica che assolve allo scopo
di conoscere e rappresentare il mondo, nonché e idee e i sentimenti degli
uomini.
Tale funzione interpretativa diventa, contemporaneamente,
comunicativa, in quanto veicolo di messaggi che si esprimono attraverso
elementi formali specifici (versi, strofe, rime, assonanze, consonanze, figure
retoriche, lessico...) e aspetti timbrici e fonici, per nulla secondari
rispetto ai primi.
La Poesia, allora, lungi dall’essere mero ed evasivo esercizio di
fantasia letteraria, è prezioso strumento di analisi della realtà, presente o
passata, e quindi, a volte, alveo di memoria storica.
Coltivare la memoria storica significa acquisire consapevolezza
critica del passato, delle imperfezioni umane e dei grandi errori trascorsi, in
un’ottica di raccordo con il presente e il futuro.
La Poesia, infatti, pur in assenza di dichiarate e preconfezionate
intenzioni, aspira all’elevazione dell’individuo e alla costruzione di una
società migliore.
Allora, insieme ad altri saperi e ad altre forme espressive, ha una
sostanziale valenza formativa, perché a stimolare l’intelletto e a
sensibilizzare le coscienze.
Congruente a tale visione appare la lirica inedita “Come urla del
vento”, della poetessa Rosanna Vicari.
In essa l’autrice tratta il tema dello sterminio nazista degli
ebrei e delle altre “indesiderabili” categorie umane, che ha segnato
profondamente e tragicamente la Storia del Novecento.
Subito il lettore vede, come con gli occhi, l’immagine di un treno
che “corre sui binari del dolore” con il suo “carico di vittime innocenti”, in
un paesaggio desolato, muto, caratterizzato da “una notte buia senza stelle”,
in cui “l’ombra della morte aleggia nell’aria”.
E il treno che avanza, con il suo “cupo” sferragliare, a un certo
punto, tramite il suo “fischio”, paragonato al “rombo di un tuono”, “squarcia
quel sordo silenzio”.
Tale rottura è definitiva: al fischio si aggiungono “il suono delle
sirene” del campo di concentramento, “grida di orrore”, “ringhiare di cani”.
La corsa poi si conclude: il treno si arresta e “si spalancano,
ancora una volta, le porte dell’inferno”.
E in quell’inferno trovano spazio i forni crematori che ammorbano
l’aria, perchè spargono ceneri di carne umana, che, “spazzate via dal vento,
anneriscono la candida neve.”
La differenza tra il candore della neve e il colore scuro delle
ceneri evoca efficacemente il contrasto tra l’innocenza delle vittime e la
ferocia degli aguzzini, tra la purezza della natura e la sua profanazione ad
opera della bestialità umana, tra la vita e la morte.
Anche i nuovi e sfortunati passeggeri moriranno e diventeranno
cenere, come quelli che li hanno preceduti e che sono diventati fumo; e nelle
ceneri degli uomini, delle donne e dei bambini “sui quali si è accanito,
feroce, il destino”, finiranno i “ricordi”, i “dolori” e i loro “segreti”.
Ma quelle esistenze annientate e crudelmente sacrificate saranno,
per sempre, “cenere leggera” e viaggeranno “nel vuoto dell’infinito come urla
del vento”.
La poesia, a struttura libera, particolarmente suggestiva e
rievocativa, si conclude proprio così.
Potente è la rappresentazione poetica di un’umanità calpestata,
umiliana, violentata, che, pur essendo stata ridotta in polvere, continua,
oltre il tempo e lo spazio, a urlare il dolore delle loro vite spezzate e del
loro misero tempo.
Un componimento che esalta il valore del ricordo, quello della
poetessa Rosanna Vicari, di cui l’uomo, oggi più che mai, ha tanto bisogno.
Abbiamo il dovere morale di ascoltare e onorare gli “urli “del
passato; abbiamo necessità, per evitare di ricadere, un giorno, nel baratro
delle sistematiche e legittimate persecuzioni razziali, di ricordare ciò che è
stato, con la mente e il cuore.
D’altra parte, che cosa significa ricordare, se non, come ci
insegnano gli antichi, ripassare dalle parti del cuore?
Matilde Di Franco
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