Care concittadine, cari
concittadini, ho sempre vissuto questo
tradizionale appuntamento di fine anno con molto coinvolgimento e anche con un po’
di emozione.
Oggi questi sentimenti sono
accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si
concluderà il mio ruolo di Presidente.
L’augurio che sento di rivolgervi
si fa, quindi, più intenso perché, alla necessità di guardare insieme con
fiducia e speranza al nuovo anno, si aggiunge il bisogno di esprimere il mio
grazie a ciascuno di voi per aver mostrato, a più riprese, il volto autentico
dell’Italia: quello laborioso, creativo, solidale.
Sono stati sette anni impegnativi,
complessi, densi di emozioni: mi tornano in mente i momenti più felici ma anche
i giorni drammatici, quelli in cui sembravano prevalere le difficoltà e le
sofferenze.
Ho percepito accanto a me
l’aspirazione diffusa degli italiani a essere una vera comunità, con un senso
di solidarietà che precede, e affianca, le molteplici differenze di idee e di
interessi.
In questi giorni ho ripercorso nel
pensiero quello che insieme abbiamo vissuto in questi ultimi due anni: il tempo
della pandemia che ha sconvolto il mondo e le nostre vite.
Ci stringiamo ancora una volta
attorno alle famiglie delle tante vittime: il loro lutto è stato, ed è, il
lutto di tutta Italia.
Dobbiamo ricordare, come patrimonio
inestimabile di umanità, l’abnegazione dei medici, dei sanitari, dei volontari.
Di chi si è impegnato per contrastare il virus. Di chi ha continuato a svolgere
i suoi compiti nonostante il pericolo.
I meriti di chi, fidandosi della
scienza e delle istituzioni, ha adottato le precauzioni raccomandate e ha
scelto di vaccinarsi: la quasi totalità degli italiani, che voglio, ancora una
volta, ringraziare per la maturità e per il senso di responsabilità dimostrati.
In queste ore in cui i contagi
tornano a preoccupare e i livelli di guardia si alzano a causa delle varianti
del virus - imprevedibili nelle mutevoli configurazioni - si avverte talvolta
un senso di frustrazione.
Non dobbiamo scoraggiarci. Si è
fatto molto.
I vaccini sono stati, e sono,
uno strumento prezioso, non perché garantiscano l’invulnerabilità ma perché
rappresentano la difesa che consente di ridurre in misura decisiva danni e
rischi, per sé e per gli altri.
Ricordo la sensazione di impotenza
e di disperazione che respiravamo nei primi mesi della pandemia di fronte alle
scene drammatiche delle vittime del virus. Alle bare trasportate dai mezzi
militari. Al lungo, necessario confinamento di tutti in casa. Alle scuole, agli
uffici, ai negozi chiusi. Agli ospedali al collasso.
Cosa avremmo dato, in quei giorni,
per avere il vaccino?
La ricerca e la scienza ci hanno consegnato,
molto prima di quanto si potesse sperare, questa opportunità. Sprecarla è anche
un’offesa a chi non l’ha avuta e a chi non riesce oggi ad averla.
I vaccini hanno salvato tante
migliaia di vite, hanno ridotto di molto – ripeto - la pericolosità della
malattia.
Basta pensare a come l’anno passato
abbiamo trascorso le festività natalizie e come invece è stato possibile farlo
in questi giorni, sia pure con prudenza e limitazioni.
La pandemia ha inferto ferite
profonde: sociali, economiche, morali. Ha provocato disagi per i giovani,
solitudine per gli anziani, sofferenze per le persone con disabilità. La crisi
su scala globale ha causato povertà, esclusioni e perdite di lavoro. Sovente
chi già era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri
contraccolpi.
Eppure ci siamo rialzati. Grazie al
comportamento responsabile degli italiani – anche se tra perduranti difficoltà
che richiedono di mantenere adeguati livelli di sicurezza - ci siamo avviati
sulla strada della ripartenza; con politiche di sostegno a chi era stato
colpito dalla frenata dell’economia e della società e grazie al quadro di
fiducia suscitato dai nuovi strumenti europei.
Una risposta solidale, all’altezza
della gravità della situazione, che l’Europa è stata capace di dare e a cui
l’Italia ha fornito un contributo decisivo.
Abbiamo anche trovato dentro di noi
le risorse per reagire, per ricostruire. Questo cammino è iniziato. Sarà ancora
lungo e non privo di difficoltà. Ma le condizioni economiche del Paese hanno
visto un recupero oltre le aspettative e le speranze di un anno addietro. Un
recupero che è stato accompagnato da una ripresa della vita sociale.
Nel corso di questi anni la nostra
Italia ha vissuto e subito altre gravi sofferenze. La minaccia del terrorismo
internazionale di matrice islamista, che ha dolorosamente mietuto molte vittime
tra i nostri connazionali all’estero. I gravi disastri per responsabilità
umane, i terremoti, le alluvioni. I caduti, militari e civili, per il dovere. I
tanti morti sul lavoro. Le donne vittime di violenza.
Anche nei momenti più bui, non mi
sono mai sentito solo e ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di
gratitudine a chi era in prima linea. Ai sindaci e alle loro comunità. Ai
presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori,
accanto alle persone.
Il volto reale di una Repubblica
unita e solidale.
È il patriottismo concretamente
espresso nella vita della Repubblica.
La Costituzione affida al Capo
dello Stato il compito di rappresentare l’unità nazionale.
Questo compito - che ho cercato di
assolvere con impegno - è stato facilitato dalla coscienza del legame,
essenziale in democrazia, che esiste tra istituzioni e società; e che la nostra
Costituzione disegna in modo così puntuale.
Questo legame va continuamente
rinsaldato dall’azione responsabile, dalla lealtà di chi si trova a svolgere
pro-tempore un incarico pubblico, a tutti i livelli. Ma non potrebbe resistere
senza il sostegno proveniente dai cittadini.
Spesso le cronache si incentrano
sui punti di tensione e sulle fratture. Che esistono e non vanno nascoste. Ma
soprattutto nei momenti di grave difficoltà nazionale emerge l’attitudine del
nostro popolo a preservare la coesione del Paese, a sentirsi partecipe del
medesimo destino.
Unità istituzionale e unità morale
sono le due espressioni di quel che ci tiene insieme. Di ciò su cui si fonda la
Repubblica.
Credo che ciascun Presidente della
Repubblica, all’atto della sua elezione, avverta due esigenze di fondo:
spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente
dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno. E
poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal
suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del
suo mandato - deve trasmettere integri al suo successore.
Non tocca a me dire se e quanto sia
riuscito ad adempiere a questo dovere. Quel che desidero dirvi è che mi sono
adoperato, in ogni circostanza, per svolgere il mio compito nel rispetto
rigoroso del dettato costituzionale.
È la Costituzione il fondamento,
saldo e vigoroso, della unità nazionale. Lo sono i suoi principi e i suoi
valori che vanno vissuti dagli attori politici e sociali e da tutti i
cittadini.
E a questo riguardo, anche in
questa occasione, sento di dover esprimere riconoscenza per la leale
collaborazione con le altre istituzioni della Repubblica.
Innanzitutto con il Parlamento, che
esprime la sovranità popolare.
Nello stesso modo rivolgo un
pensiero riconoscente ai Presidenti del Consiglio e ai Governi che si sono
succeduti in questi anni.
La governabilità che le istituzioni
hanno contribuito a realizzare ha permesso al Paese, soprattutto in alcuni
passaggi particolarmente difficili e impegnativi, di evitare pericolosi salti
nel buio.
Ci troviamo dentro processi di
cambiamento che si fanno sempre più accelerati.
Occorre naturalmente il coraggio di
guardare la realtà senza filtri di comodo. Alle antiche diseguaglianze la
stagione della pandemia ne ha aggiunte di nuove. Le dinamiche spontanee dei
mercati talvolta producono squilibri o addirittura ingiustizie che vanno
corrette anche al fine di un maggiore e migliore sviluppo economico. Una ancora
troppo diffusa precarietà sta scoraggiando i giovani nel costruire famiglia e
futuro. La forte diminuzione delle nascite rappresenta oggi uno degli aspetti
più preoccupanti della nostra società.
Le transizioni ecologica e digitale
sono necessità ineludibili, e possono diventare anche un’occasione per
migliorare il nostro modello sociale.
L’Italia dispone delle risorse
necessarie per affrontare le sfide dei tempi nuovi.
Pensando al futuro della
nostra società, mi torna alla mente lo sguardo di tanti giovani che ho
incontrato in questi anni. Giovani che si impegnano nel volontariato, giovani
che si distinguono negli studi, giovani che amano il proprio lavoro, giovani
che – come è necessario - si impegnano nella vita delle istituzioni, giovani
che vogliono apprendere e conoscere, giovani che emergono nello sport, giovani che
hanno patito a causa di condizioni difficili e che risalgono la china
imboccando una strada nuova.
I giovani sono portatori della loro
originalità, della loro libertà. Sono diversi da chi li ha preceduti. E
chiedono che il testimone non venga negato alle loro mani.
Alle nuove generazioni sento di
dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro
perché soltanto così lo donerete alla società.
Vorrei ricordare la commovente
lettera del professor Pietro Carmina, vittima del recente, drammatico crollo di
Ravanusa. Professore di filosofia e storia, andando in pensione due anni fa,
aveva scritto ai suoi studenti: “Usate le parole che vi ho insegnato per
difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma
protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le
mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a
perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi
non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate
mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare…”.
Faccio mie – con rispetto – queste
parole di esortazione così efficaci, che manifestano anche la dedizione dei
nostri docenti al loro compito
educativo.
Desidero rivolgere un augurio
affettuoso e un ringraziamento sincero a Papa Francesco per la forza del suo
magistero, e per l’amore che esprime all’Italia e all’Europa, sottolineando
come questo Continente possa svolgere un’importante funzione di pace, di
equilibrio, di difesa dei diritti umani nel mondo che cambia.
Care concittadine e cari
concittadini, siamo pronti ad accogliere il nuovo anno, ed è un momento di
speranza. Guardiamo avanti, sapendo che il destino dell’Italia dipende anche da
ciascuno di noi.
Tante volte abbiamo parlato di una
nuova stagione dei doveri. Tante volte, soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo
sottolineato che dalle difficoltà si esce soltanto se ognuno accetta di fare
fino in fondo la parte propria.
Se guardo al cammino che abbiamo
fatto insieme in questi sette anni nutro fiducia.
L’Italia crescerà. E lo farà quanto
più avrà coscienza del comune destino del nostro popolo, e dei popoli europei.
Buon anno a tutti voi!
E alla nostra
Italia!
Il Presidente della Repubblica Italiana Sergio
Mattarella
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